La riforma pensioni è destinata a scavallare il 2023. La caduta del governo e la fine anticipata della legislatura non delineano un quadro rassicurante per i lavoratori in un contesto economico già precario.
La preoccupazione maggiore appare quella legata alle attuali deroghe, Opzione Donna, Ape Sociale, Quota 41 e Quota 102. Tutte forma di pensionamento anticipato che hanno una scadenza: 31 dicembre 2022.
Le deroghe per andare in pensione nel 2023
Quali di queste saranno prorogate per il 2023? I segnali di apertura del governo verso i sindacati per prorogare le misure in atto non mancano.
Probabile che per ottenere da Bruxelles il via libera alla proroga di alcune pensioni in deroga si debba rinunciare ad altre. Come avvenuto lo scorso anno quando Opzione Donna fu rinnovata di altri 12 mesi in cambio della fine di Quota 100, peraltro in scadenza.
Così anche per il 2023 potrebbe accadere la stessa cosa: fine di Quota 102 (senza rinnovo) in cambio della proroga di Opzione Donna. Una misura che, in ogni caso, non pesa particolarmente sul bilancio dello Stato trattandosi di una pensione penalizzante per le lavoratrici che decidono di accettarla.
Ape Sociale e Opzione Donna
Quindi se per Opzione Donna la partita si giocherà probabilmente su un compromesso, per le altre opzioni ci sono più probabilità di rinnovo. Ci riferiamo in particolare ad Ape Sociale e a Quota 41, il pensionamento previsto per il lavoratori precoci.
Ape Sociale è stata ampliata lo scorso anno estendendo il diritto a più lavoratori usuranti. Ma il lavoro è ancora lungo in questo senso. La lista dei lavori usuranti meritevoli di maggiore tutela previdenziale elaborata dalla commissione governativa presieduta da Cesare Damiano è ancora da sfruttare.
Molte categoria di lavoratori inclusi fra i più usuranti non sono stati inclusi in Ape Sociale. Come ad esempio gli infermieri o gli insegnati di scuole secondarie, oltre a cuochi, baristi, ecc.
Potrebbero rientrarvi nel 2023 se il bilancio lo permette. Anche se le speranze che ciò avvenga sono basse. L’Inps, nel suo Rapporto annuale, ha già messo in guardia il Parlamento a non commettere errori. Con una spesa pensionistica lievitata a quota 312 miliardi nel 2021 e il rischio di patrimonio negativo a 90 miliardi fra qualche anno, costituiscono un ostacolo difficile da superare.