Pensioni 2023: la flessibilità ci sarà ma non sarà uguale per tutti. Quale ti toccherà?

Riforma pensioni ancora nell’incertezza. Governo e sindacati restano distanti, ma sulla necessità di maggiore flessibilità in uscita c’è convergenza.
3 anni fa
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Regna ancora l’incertezza sulla riforma pensioni e i lavoratori ancora non sanno cosa succederà dal 2023. La crisi internazionale sta drenando l’attenzione verso altre priorità e tutto pare scivolare il là nel tempo.

Quello che preme è però arrivare alla legge di bilancio con un progetto condivisibile con i sindacati. Benché le parti restino ancora distanti, su un punto pare si voglia convergere: la flessibilità in uscita.

Riforma pensioni cosa potrebbe cambiare

Di fatto, il quadro normativo che verrà non dovrebbe toccare la riforma Fornero che prevede in sostanza l’età della pensione agganciata alla speranza di vita.

Quindi la pensione di vecchiaia (oggi a 67 anni) o anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (12 mesi in meno per le donne) non saranno toccate.

Il governo punta, invece, a modificare la legge nella parte in cui è concessa la pensione ai contributivi puri al raggiungimento dei 64 anni di età con almeno 20 anni di versamenti. A oggi ne hanno diritto solo coloro che possono beneficiare di una pensione non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale, circa 1.310 euro al mese.

Soglia che potrebbe scendere a 1,5-1,6  volte per ampliare la platea dei lavoratori. A quel punto, chi lo desidera, potrà andare in pensione a 64 anni a patto che i contributi versati nel sistema retributivo siano migrati a quello contributivo. Come previsto per Opzione Donna.

La flessibilità in uscita

In alternativa, se le posizioni dei sindacati fossero meno rigide, si potrebbe arrivare a forme di pensionamento anticipato più flessibile. Magari anche a una uscita dal lavoro a 62 anni, ma con una penalizzazione commisurata agli anni di anticipo rispetto ai requisiti di vecchiaia.

A tal proposito vale la pena ricordare la proposta dell’economista Michele Raitano per rendere più flessibile la pensione alla generalità dei lavoratori. Andrebbe quindi introdotto anche un sistema di maggiori e diverse tutele per chi svolge lavori usuranti.

Oggi chi fa il minatore può lasciare il lavoro a 63 anni al pari di chi insegna alle scuole elementari. E’ del tutto evidente che c’è qualcosa da sistemare perché il tipo di attività svolta è soggetto a maggiore usura nel primo caso rispetto al secondo.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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