Opzione Donna non cambia. L’iter parlamentare non ha finora sortito alcuna modifica a quanto indicato dal governo Meloni per la riforma della pensione anticipata delle lavoratrici. Dal 2023 l’età anagrafica, a meno di colpi di scena dell’ultima ora, salirà a 60 anni.
Non solo, per andare in pensione anticipata con Opzione Donna bisognerà rispettare anche alcune condizioni sociali. E cioè, appartenere a una di queste tre categorie: caregiver, disoccupate, invalide civili. Nuovi paletti che restringono, e non di poco, l’accesso a questa prestazione.
Opzione Donna, fine dei giochi
Per i massimi esperti di previdenza, la nuova versione di Opzione Donna rappresenta l’inizio della fine dell’anticipo pensionistico riservato alle lavoratrici. Benché ne derivi una penalizzazione per il calcolo della pensione, per via soprattutto della giovane età, le nuove restrizioni seppelliranno definitivamente la deroga pensionistica.
I numeri, già dal 2023, sono destinati a crollare. Tanto nel settore pubblico come in quello privato. E non per via dell’età anagrafica che salirà a 60 anni (58-59 con figli), ma per il fatto che il requisito di appartenenza alle categorie sociali dei caregiver, invalidi e disoccupati non sono facilmente raggiungibili.
In più, la nuova versione di Opzione Donna rappresenta l’ennesimo pasticcio all’italiana andando a interfacciarsi direttamente con Ape Sociale. Le cui differenze, a questo punto, diventano minime.
Le somiglianze con Ape Sociale
Perchè Opzione Donna si allineerebbe con i requisiti previsti per Ape Sociale? Le condizioni di cui sopra sono infatti previste anche per ottenere l’anticipo pensionistico, ma a 63 anni di età e con almeno 30 di contributi versati. Questo in linea generale. Quindi la differenza con la nuova versione di Opzione Donna sarebbe, da un lato l’età anagrafica (3 anni in meno, cioè 60 anziché 63) e dall’altro l’anzianità contributiva (5 anni in più, cioè 35 anziché 30).
Una combinazione di fattori che farà riflettere molto le lavoratrici carevier, invalide o disoccupate che avranno diritto dal 2023 ad andare in pensione con Opzione Donna.
La pensione è invece calcolata diversamente e questo rappresenta un punto decisamente a favore di Ape Sociale. Con Opzione Donna bisognerà accettare un ricalcolo contributivo puro dei versamenti effettuati. Mentre con Ape Sociale questo non avviene, ma la pensione arriverà solo alla maturazione dei requisiti ordinari. Nel frattempo è corrisposta una indennità economica pari ad un massimo di 1.500 euro al mese per 12 mensilità.
Ciò rende più conveniente andare in pensione con Ape Sociale rispetto a Opzione Donna. A parità di contributi versati, si ottiene un assegno più alto e l’erogazione della prestazione decorre dal primo giorno successivo a quello del mese in cui si presenta la domanda. Mentre per Opzione Donna bisogna aspettare almeno 12 mesi dalla maturazione dei requisiti.