Andare in pensione nel 2025 sarà meno favorevole rispetto a chi riesce ad andarci oggi o a chi è riuscito ad andarci nel 2023. Una cosa che sta passando sotto traccia, probabilmente su cui nessuno ha messo la lente di ingrandimento, rischia di penalizzare le pensioni nel 2025.
E non parliamo di nuove misure o di tagli alle pensioni anticipate. Parliamo di trattamenti ordinari, anche di vecchiaia e con 20 anni di contributi. Pochi sanno che probabilmente le pensioni del 2025, per chi esce con 20 anni di contributi a 67 anni di età, saranno più basse di chi esce nel 2024 con la stessa età e a parità di contributi.
Pensioni 2025, lo sai che 20 anni di contributi da gennaio valgono meno rispetto ad oggi?
Fu la riforma Fornero che introdusse la necessità, ogni biennio, di adeguare i coefficienti di trasformazione dei contributi in pensione. Il calcolo della pensione, in base al funzionamento del sistema di calcolo contributivo, prevede che l’ammontare dei versamenti di un contribuente sia prima di tutto rivalutato ai vari tassi di inflazione sopraggiunti a partire dall’anno successivo a quello di versamento.
E poi passati per dei coefficienti di trasformazione capaci di trasformare ciò che è stato versato in pensione annuale. I coefficienti sono tanto più favorevoli al calcolo della pensione quanto più alta è l’età di uscita dal lavoro.
Ma perché c’è bisogno di adeguare questi coefficienti? Il perché è presto detto: cambia la vita media della popolazione, e più si vive a lungo più lo Stato cerca una soluzione affinché il pensionato non gravi troppo sulle sue casse.
L’aspettativa di vita non incide solo sui requisiti delle pensioni ma anche sulle regole di calcolo
Si tratta dello stesso strumento che porta all’aumento dei requisiti per le pensioni in base all’aumento della vita media della popolazione. Più si vive in media, più si deve allontanare la pensione come età anagrafica, perché altrimenti l’INPS pagherebbe per troppi anni una pensione a un contribuente, finendo con il rimetterci troppo rispetto a quanto il contribuente in carriera ha effettivamente versato.
Perché più è elevata la vita media delle persone, meno elevata deve essere la pensione che deve essere pagata per più tempo a un pensionato. Un meccanismo davvero particolare, che può portare a una considerazione altrettanto particolare. Sembra quasi che lo Stato abbia interesse a ridurre la durata delle pensioni per risparmiare sulla spesa previdenziale. Una considerazione inquietante, ma che evidenzia la realtà del sistema attuale.
Cosa è successo ai coefficienti di trasformazione e perché le pensioni 2025 sono a rischio taglio
Ricapitolando, per calcolare la pensione che l’INPS eroga a ciascun lavoratore in base al montante dei contributi, il ruolo dei coefficienti è fondamentale. La disciplina nata con la riforma Fornero del 2011 prevede che ogni biennio questi coefficienti siano aggiornati prendendo a riferimento i dati sulle aspettative di vita della popolazione.
Come detto, se la stima di vita aumenta, diminuiscono di valore questi coefficienti, in modo tale che a un pensionato, il cui godimento della prestazione si allunga per via di una durata maggiore della sua vita, venga corrisposta una prestazione più bassa.
È così che, a parità di contributi, un lavoratore che va in pensione nel 2024 con 20 anni di versamenti e 64 anni di età (pensione anticipata contributiva) o a 67 anni (pensione di vecchiaia ordinaria), prenderà di più rispetto a chi fa la stessa cosa nel 2025.
Da notare che solo durante i periodi di pandemia, con l’aumento dei decessi, la stima di vita calò drasticamente. Ma dal termine della crisi pandemica, la vita media della popolazione è tornata a salire.
È solo durante quei tristi periodi che i coefficienti sono diventati più favorevoli, per la condizione opposta a quella prima descritta.
Come sono cambiati i coefficienti dal 2011 e dalla riforma Fornero ad oggi
In linea di massima, da quando si è inserito questo meccanismo con aggiornamenti biennali, tranne che nel biennio post-pandemia, i coefficienti sono sempre scesi.
Prendiamo a riferimento proprio i coefficienti dei 64 anni di età e dei 67 anni di età. Oggi, chi esce a 64 anni, magari con la pensione anticipata contributiva e con 20 anni di versamenti, ha diritto a una pensione calcolata con il coefficiente 5,184. Significa che, se il suo montante contributivo fosse di 200.000 euro già rivalutato, la sua pensione sarebbe di 10.368 euro annui.
Se invece lo stesso lavoratore avesse 67 anni di età, sempre con 200.000 euro di montante, avrebbe una pensione di 11.446 euro annui (coefficiente 5,723). I coefficienti sono saliti nell’ultimo aggiornamento di gennaio 2023, per via di quanto detto prima per la pandemia. Ma se andiamo a ritroso nel tempo, a 64 anni il coefficiente era 5,911 fino al 2009. Con 200.000 euro di montante, la pensione arrivava a 11.822 euro. Mentre a 67 anni era 6,136 per una pensione di 12.272 euro.
Ecco i calcoli e il decalage da aspettarsi per le pensioni 2025
Biennio dopo biennio, a partire dal 2011 quindi, c’è stato sempre un decalage che di fatto ha ridotto la pensione a parità di contributi e di montante contributivo. Ed è quello che bisogna attendersi anche per il 2025. Non sono ancora stati diramati i nuovi coefficienti, ma dal momento che non si può evitare questo aggiornamento, ecco che effettivamente si corre il concreto rischio che nel 2025 le pensioni subiranno un taglio già nella fase di liquidazione per tutti i nuovi pensionati.
E non ci sono differenze tra misure di pensionamento, perché i coefficienti sono generali per qualsiasi pensione e per ogni quota di pensione calcolata con il sistema contributivo, cioè per i versamenti effettuati dopo il 31 dicembre 1995.
Il sistema pensione in Italia è molto complicato. Troppi paletti, numeri ecc…..vi capite solo voi
Invece per i nostri politici solo aumenti. Fa niente ladroni dateci quello che resta dopo che avete preso voi
Senza contributi pagano di più…