Pensioni a 39 Anni: gli effetti delle baby pensioni in Italia

Le baby pensioni, simbolo di un'epoca passata, continuano a contenere il sistema previdenziale italiano e il dibattito sociale
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baby pensioni
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In un contesto in cui il sistema previdenziale italiano si evolve per adattarsi a nuove sfide, le cosiddette “baby pensioni” rappresentano un fenomeno storico che continua a suscitare riflessioni e polemiche. Questo termine identifica coloro che, grazie a una normativa oggi non più in vigore, hanno avuto accesso alla pensione in giovane età, garantendosi una rendita per decenni.

Oggi, mentre i requisiti per il pensionamento si fanno sempre più stringenti, queste situazioni restano un simbolo di un’epoca passata, ma con effetti tangibili sull’attuale sistema previdenziale.

I numeri delle baby pensioni

Secondo il dodicesimo Rapporto “Il Bilancio del sistema previdenziale italiano”, presentato alla Camera da Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, in Italia quasi 400.000 persone percepiscono una pensione da oltre quarant’anni. La maggior parte di questi pensionati ha iniziato a ricevere l’assegno previdenziale in età molto giovane: mediamente a 36,4 anni per gli uomini ea 39,5 anni per le donne.

Si tratta di dati riferiti alle c.d. baby pensioni e che evidenziano una distanza significativa rispetto alle regole odierne, che richiedono un’età ben più avanzata e una maggiore contribuzione per accedere al trattamento pensionistico.

Il rapporto rileva anche che il numero complessivo di pensionati è in aumento. Tra il 2022 e il 2023, si è registrato un incremento di 98.743 unità, portando il totale a 16.230 milioni. Parallelamente, il tasso di occupazione ha mostrato una crescita, con un rapporto tra lavoratori attivi e pensionati pari a 1,4636, un dato che si avvicina alla soglia di equilibrio di 1,5. Questi numeri evidenziano un sistema che, seppur ancora lontano dalla stabilità ottimale, presenta, secondo Brambilla, segnali positivi.

Un sistema fuori equilibrio

Le baby pensioni rappresentano un’eccezione storica rispetto ai criteri di equilibrio auspicati per un sistema previdenziale sostenibile. Secondo quanto evidenziato da Brambilla, e come riporta anche la stampa specializzata, queste rendite superano di gran lunga il periodo ideale di 20-25 anni di quiescenza, considerato il giusto compromesso tra la vita lavorativa e il periodo di pensionamento.

Le persone che oggi percepiscono pensioni per oltre quarant’anni incarnano uno squilibrio che continua a gravare sulle casse previdenziali.

La situazione attuale, tuttavia, è profondamente diversa rispetto al passato. Le riforme introdotte negli ultimi decenni hanno imposto requisiti molto più severi sia in termini di età che di contributi necessari per accedere alla pensione. In un paese come l’Italia, caratterizzato da un’elevata aspettativa di vita, questi aggiustamenti erano inevitabili per garantire la sostenibilità del sistema. Oggi il nostro sistema prevede la pensione anticipata ordinaria che richiede oltre 40 di contributi. Ci sono poi altri sistemi di uscita anticipata flessibili come Quota 103 (62 anni di età e 41 anni di contributi), Opzione donna e Ape sociale.

Le cause del fenomeno

L’origine delle baby pensioni risale a una normativa particolarmente generosa in vigore fino agli anni ’90. All’epoca, era possibile andare in pensione dopo pochi anni di lavoro, in alcuni casi anche con meno di vent’anni di contribuzione. Queste regole avevano l’obiettivo di favorire il ricambio generazionale nel mercato del lavoro, ma i loro effetti a lungo termine si sono rivelati problematici.

Le baby pensioni hanno creato una disparità intergenerazionale significativa. Mentre chi ha beneficiato di queste norme gode di pensioni di lunga durata, le generazioni successive si trovano ad affrontare criteri molto più rigorosi e prospettive meno favorevoli in termini di prestazioni previdenziali.

Il peso economico e sociale delle baby pensioni

L’impatto delle baby pensioni sul sistema previdenziale italiano è evidente. Le risorse si impegnano per sostenere queste pensioni per periodi così lunghi sottraendo fondi che potrebbero essere destinati a politiche sociali o ridurre la pressione contributiva su lavoratori e imprese. Inoltre, il dibattito sulle baby pensioni si intreccia con questioni di equità sociale, sollevando interrogativi sull’equilibrio tra i diritti acquisiti da una generazione e le sfide che devono affrontare le generazioni successive.

Questo fenomeno rappresenta anche un caso emblematico di come le politiche previdenziali non sufficientemente calibrate possano generare effetti negativi a lungo termine. La sostenibilità di un sistema pensionistico dipende infatti da un equilibrio dinamico tra le risorse raccolte attraverso i contributi e quelle erogate sotto forma di prestazioni.

Riassumendo

  • Baby pensioni: fenomeno storico di pensionamenti precoci con rendite ricevute per oltre 40 anni.
  • Dati attuali: quasi 400.000 pensionati in Italia ricevono pensioni da più di 40 anni.
  • Squilibrio previdenziale: rendite superiori al periodo ideale di 20-25 anni di pensionamento.
  • Origini: normative generose pre-anni ’90 hanno favorito pensionamenti precoci ma poco sostenibili.
  • Impatto economico: le baby pensioni gravano sulle casse previdenziali e creano disparità generazionali.

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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