Da un lato le prestazioni assistenziali, che per l’INPS sono l’assegno sociale per gli over 67, il reddito di cittadinanza e da gennaio 2024, l’assegno di inclusione. Dall’altra le misure di pensionamento, quelle ordinarie e quelle in deroga, quelle strutturali e quelle a scadenza. Da tempo si discute di dividere l’assistenza dalla previdenza, perché i conti dell’INPS sono passivi proprio perché nei conteggi delle casse pubbliche si tende a unire sia le prestazioni assistenziali che quelle previdenziali che paga l’INPS.
Stop reddito di cittadinanza ma anche l’assegno di inclusione per chi ha 60 anni, per lo la pensione
Alcuni nostri lettori, arguti e precisi ci hanno portato a considerare l’eventuale riforma delle pensioni da un altro lato, che è quello dei soggetti occupabili. Quasi che le misure assistenziali oggi in vigore diano un assist al governo affinché vari definitivamente la riforma della previdenza sociale Italiana.
“Buongiorno, sono un vostro affezionato lettore ed ho già utilizzato i quesiti a cui i vostri esperti rispondono. Oggi volevo più che porvi un quesito, chiedervi se la pensate come me dal momento che contesto il fatto che in Italia si guardi più alle prestazioni assistenziali che alle pensioni. Tutte le polemiche intorno al reddito di cittadinanza che è stato bloccato, rinviato oppure sostituito, le trovo sterili. Ciò che non capisco e perché secondo lo Stato un cittadino a 60 anni deve prendere il reddito di cittadinanza perché non può lavorare mentre se ha 30 anni di contributi versati alla stessa età non può andare in pensione sfruttando i soldi che lui stesso ha versato come contributi. Per farvi un esempio io mi trovo proprio così con 61 anni di età e 30 anni di contributi versati.
Si spendono soldi per gli over 60 per il reddito di cittadinanza, ma per le pensioni niente
Innanzitutto dobbiamo dire che troviamo il quesito del nostro lettore assolutamente in linea con il nostro pensiero. Perché riguarda l’attuale sistema pensionistico e la necessità che questo sistema venga riformato accuratamente. Anche noi sosteniamo che al posto di considerare tutti i sessantenni come soggetti non più attivabili al lavoro e bisognosi di assistenza, si farebbe prima a dargli la pensione. Naturalmente in base ai contributi che loro stessi hanno versato. Ed è anche vero però che un contribuente che esce a 60 anni di età con vent’anni di contributi versati probabilmente avrà una pensione troppo bassa per poter andare avanti. Ma allo stesso tempo i 500 euro al mese che si daranno con l’assegno di inclusione da gennaio 2024 e che poi sono gli stessi soldi che i contribuenti prendono oggi di reddito di cittadinanza, sono allo stesso tempo insufficienti per poter andare avanti. Il paradosso è che lo Stato dice di non poter sostenere il pagamento delle pensioni a gente di 60 anni. Ma può allo stesso tempo spendere soldi di sussidi, sempre agli over 60.
Una vera presa di coscienza dello Stato o solo una coincidenza?
Sarà una coincidenza, un semplice caso, ma ultimamente si parla con insistenza di una nuova misura che il governo vorrebbe varare. Misura che si chiama quota 96. A dire il vero non è una novità assoluta del sistema pensionistico italiano dal momento che si tratta di una misura che era già in vigore più di dieci anni fa. Il fatto saliente però è che con questa misura si ritorna a parlare di una potenziale pensione da 60 anni di età.
Pensioni a 60 anni, da reddito di cittadinanza e assegno unico l’assist alla riforma delle pensioni
Un ragionamento che nasce dal fatto che oggi è stato bloccato il reddito di cittadinanza dopo sette mesi alle persone il cui nucleo familiare è composto esclusivamente da soggetti dai 18 ai 59 anni di età. Sono questi che lo stato oggi reputa come soggetti che possono trovare un lavoro e che quindi non dovrebbero aver bisogno di prestazioni assistenziali. Per gli altri, cioè i componenti di famiglie con minorenni, invalidi o con persone con 60 anni di età compiuti o più grandi, il reddito di cittadinanza resterà in vigore fino a fine anno. Per poi trasformarsi dietro la domanda degli intestati nell’assegno di inclusione. Quindi, a 60 anni non più attivabili al lavoro. Come dimostra il fatto che questi soggetti se beneficiari di sussidi, non devono partecipare a ricerche di lavoro e corsi di formazione. Ecco perché forse, a conti fatti dare a queste persone la loro pensione, allo Stato costerebbe in ugual modo. E senza vincolare le persone a ISEE e sussidi dando loro la giusta dignità.