Un lavoratore arrivato a 60 anni può andare in pensione solo se ha maturato una carriera contributiva molto lunga, poiché misure che consentono di uscire a 60 anni oggi non ci sono. Bisogna tornare ai tempi antecedenti la Fornero per trovare soluzioni di favore così vantaggiose.
Una volta, a 60 anni, le donne potevano uscire con la pensione di vecchiaia ordinaria. Inoltre, chi rientrava nella quota 96, con 35 anni di contributi e l’aggiunta delle frazioni di anno per arrivare alla somma di 96, poteva lasciare il lavoro.
A dire il vero, prima della riforma Fornero era più semplice uscire a 60 anni con le pensioni di anzianità, perché il limite contributivo da centrare era più basso rispetto alle pensioni anticipate ordinarie di oggi. Tuttavia, oggi, per andare in pensione a 60 anni, gli interessati devono passare quasi esclusivamente per le pensioni anticipate, a meno che non possano sfruttare la quota 41 per i precoci, anticipando di poco l’uscita, ma spesso rimettendoci molto.
Pensioni a 60 anni o a 62, ecco quando aspettare due anni conviene e quando no
“Buongiorno, volevo un vostro consiglio su come mi devo comportare per la mia pensione. A settembre faccio esattamente 41 anni di contributi e sempre a settembre compio 60 anni. Come voi mi insegnate, ho 12 mesi di versamenti prima dei 19 anni di età, anzi, ne ho di più. Da 5 anni sono caregiver di mia madre disabile con accompagnamento. Tanto è vero che prendo mensilmente i 3 giorni di permesso con la legge 104. In parole povere, posso andare in pensione con la quota 41 precoci. Ma volevo capire se fosse conveniente andare in pensione subito o se, lavorando fino ai 42 anni e 10 mesi, il guadagno sulla pensione fosse netto.”
Andare in pensione prima o aspettare di raggiungere una carriera più lunga è il dubbio amletico di ogni lavoratore che può scegliere. Naturalmente, ci sono lavoratori privi di opportunità, che non hanno alternative a continuare a lavorare oppure ad andare in pensione se il lavoro l’hanno perso.
Possibilità di scegliere
Il nostro lettore, almeno per quello che ci dice, può scegliere. Può decidere di andare in pensione continuando a lavorare, oppure uscire adesso con la quota 41 per i lavoratori precoci. Questa misura consente infatti di uscire dal lavoro anche a 60 anni, perché non ci sono limiti anagrafici: basta avere 41 anni di contributi, di cui un anno versato prima dei 19 anni. Di questi 41 anni, almeno 35 devono essere effettivi da lavoro, quindi senza considerare i contributi figurativi da Naspi, da altre indennità per disoccupati o da malattia indennizzata INPS.
Inoltre, bisogna rientrare in determinate categorie di soggetti:
- lavoratori addetti alle mansioni gravose;
- invalidi;
- caregiver;
- disoccupati.
Gli addetti ai lavori gravosi devono aver svolto queste attività (in tutto sono 15 tipologie) per 6 degli ultimi 7 anni o per 7 degli ultimi 10 anni. I disoccupati devono aver terminato di prendere la Naspi da almeno 3 mesi e devono averla presa per l’intera sua durata.
Gli invalidi devono avere almeno il 74% di invalidità civile e i caregiver devono convivere con un parente disabile di cui si fanno carico dell’assistenza da almeno 6 mesi. Ed è quest’ultima tipologia che si applica al nostro lettore.
Grazie a questo, ha diritto alla quota 41 per i precoci. Il parente disabile deve essere convivente con il richiedente la pensione. Non serve stare nello stesso appartamento, basta convivere in un immobile con lo stesso numero civico, anche se in interni diversi.
Andare in pensione a 60 anni è diventato sempre più complicato e difficile
Prima della riforma Fornero, uscire a 60 anni era più semplice, poiché le pensioni di anzianità richiedevano soli 40 anni di contributi. Bastava aver iniziato a lavorare a 20 anni per trovarsi a 60 anni con la carriera contributiva giusta per questo genere di uscite.
Oggi, con le pensioni anticipate che richiedono 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini o 41 anni e 10 mesi per le donne, è evidente che serve aver cominciato a versare ben prima dei 20 anni. Tuttavia, il nostro lettore può essere uno di quelli che a 62 anni e poco più, può aspirare ad uscire con le anticipate ordinarie.
Può scegliere di uscire con la quota 41 precoci a 60 anni o con le anticipate ordinarie a 62 anni e 10 mesi. Se però il suo interesse è l’importo della pensione, è naturale che continuare a versare contributi sia una saggia decisione. Una cosa è una pensione calcolata su 41 anni di versamenti, un’altra su 42 anni e 10 mesi. Non cambia nulla dal punto di vista della finestra di decorrenza del trattamento. Perché sia per la quota 41 precoci che per la pensione anticipata ordinaria, bisogna aspettare 3 mesi dalla maturazione del diritto al trattamento.
Come calcolare i pro e i contro di una difficile scelta
Se la differenza tra una pensione con 41 anni di versamenti e una con 42 anni e 10 mesi di contributi è significativa, lo stesso si può dire per una pensione a 60 anni rispetto a una a 62 anni e 10 mesi. Il coefficiente che trasforma il montante dei contributi in pensione è nettamente più favorevole a 63 anni circa rispetto a 60 anni.
In attesa dei nuovi coefficienti 2025-2026 (quelli attuali sono validi per il biennio 2023-2024), quelli odierni sono:
- a 60 anni il 4,615%;
- a 63 anni il 5,028%.
Già a parità di montante, una cosa è moltiplicarlo per 4,615%, un’altra è moltiplicarlo per 5,028%. Se a questo aggiungiamo che 3 anni circa di lavoro in più significano immettere nel montante il 33% dello stipendio lordo totale del triennio, ecco che la pensione calcolata a 63 anni è nettamente più alta rispetto a una a 60 anni.
Chi può scegliere non dovrebbe avere dubbi. Diverso è il caso di chi ha perso il lavoro. Se ha diritto alla Naspi, può temporaneamente tamponare il problema. Godendo di un’indennità per disoccupati che però a lungo andare è molto più bassa (scende del 3% dal sesto mese in poi in maniera progressiva mese dopo mese) di un’eventuale pensione.