I giovani italiani di oggi rischiano di andare in pensione più tardi dei loro colleghi europei, oltre i 70 anni di età. E’ un dato di cui in Italia si dibatte da tempo senza la reale volontà della classe politica di aprire il vaso di Pandora. Ma con la manovra di bilancio per il 2024 è emersa una novità, che se confermata avrebbe effetti “rivoluzionari” sulle pensioni per coloro che oggi sono giovani, al lavoro o in procinto di entrarvi. Potranno andare in pensione già al raggiungimento dei 67 anni di età.
Come funziona il contributivo puro
Prima di proseguire, dobbiamo fare una premessa indispensabile per capire quanto le norme in materia previdenziale in Italia siano inique e squilibrate. Coloro che hanno iniziato a versare i contributi dall’1 gennaio del 1996 andranno in pensione con il metodo contributivo, cioè si vedranno calcolato l’assegno esclusivamente in base a quanto versato. Chi al 31 dicembre del 1995 aveva già versato contributi, grosso modo rientra ormai nel cosiddetto “regime misto”: calcolo retributivo, ossia legato allo stipendio medio percepito negli ultimi tot anni (e più favorevole di norma al lavoratore) per i periodi che arrivano fino al 2011; contributivo per gli anni dal 2012.
I lavoratori che rientrano nel contributivo puro, cioè sostanzialmente i più giovani, non avranno diritto all’integrazione al trattamento minimo. Percepiranno esattamente quanto versato, a differenza di coloro che vanno in pensione ancora oggi con il regime misto. Cornuti e mazziati, come si suole dire. I giovani di oggi non solo andranno in pensione dopo, ma non avranno il paracadute per poter beneficiare di un trattamento minimo mensile, fissato per il 2024 in poco meno di 600 euro per tredici mensilità.
Pensioni ai giovani di oggi a 67 anni
La manovra di quest’anno modifica un po’ le cose, anche se siamo ancora all’inizio di quella riforma prospettata dalla premier Giorgia Meloni in conferenza stampa e che punta a ridurre le iniquità del sistema.
Ipotizzando che l’applicazione scattasse quest’anno, attualmente servirebbe un montante nell’ordine dei poco più di 135 mila euro per accedere a tale diritto. Ed è ipotizzabile che, pur con uno stipendio basso e rapporti di lavoro discontinui, un lavoratore riesca entro un arco di tempo lungo almeno una quarantina di anni ad accumulare una tale cifra, annualmente rivalutata in base alle variazioni medie del PIL nominale quinquennale. Ci sarebbe un limite: l’assegno non potrebbe superare le cinque volte il trattamento minimo. La stessa previsione è stata introdotta da quest’anno per coloro che usufruiranno di Ape Sociale.
Verso Quota 41 per tutti?
Ripetiamo, questa previsione non ridurrebbe il rischio povertà per i giovani di oggi che andranno in pensione tra decine di anni. Perlomeno, però, consentirebbe loro di anticipare la data del pensionamento fino a quattro anni, stando all’attuale normativa. Ma ci sarebbe in vista un’altra novità, sempre rivolta ai contributivi puri: la possibilità di andare in pensione con Quota 41. E’ una battaglia della Lega, anche se per ragioni di bilancio sarà ammorbidita secondo criteri penalizzanti. In pratica, tutti i lavoratori potrebbero andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età.
Ad oggi, la legge Fornero stabilisce che per la pensione anticipata servano 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Dunque, si tratterebbe di anticipare fino a 1 anno e 10 mesi il pensionamento.