Un pool di esperti multisettore, con all’interno esponenti del mondo previdenziale, economico, finanziario, sindacale e non solo, sembra stia lavorando per formulare una proposta di riforma delle pensioni degna di questo nome. Un supporto al governo, chiamato a intervenire, è naturalmente previsto, poiché nella Legge di Bilancio di fine anno sarà necessario affrontare la questione delle pensioni. E così iniziano a emergere alcune ipotesi che potrebbero concretizzarsi nella manovra. Almeno, queste sono le tematiche che i futuri incontri tra governo e sindacati dovranno approfondire.
Pensioni anticipate e di vecchiaia: serviranno 5 anni in più? Ecco la proposta del CNEL
Secondo quanto emerge, si prevede il blocco di una serie di misure che, ormai da anni, accompagnano i lavoratori, misure delle quali essi hanno imparato a conoscere tutte le sfaccettature. Parliamo di pensioni con le quote, misure tampone e temporanee, da rinnovare di anno in anno con continui accorgimenti e correttivi.
Si parte quindi dall’idea di un ricambio organico e strutturale dell’intero sistema previdenziale, con nuove misure e correttivi dei requisiti per le misure ordinarie. Il primo passo dovrebbe essere la creazione di una misura strutturale di flessibilità.
Per il CNEL, dunque, la flessibilità è fondamentale. In pratica, è necessaria una misura unica che offra ai lavoratori la possibilità di scegliere l’età di uscita dal mondo del lavoro. La flessibilità è un tema ricorrente in qualsiasi incontro tra governo e sindacati del passato, e lo è anche nelle vecchie proposte di riforma del sistema che, negli anni, alcuni esponenti politici, tecnici ed esperti hanno avanzato.
Pensioni di vecchiaia e pensioni anticipate: cambia tutto per il Cnel
Ma di quale flessibilità parla il CNEL nella sua idea di riforma pensionistica? Questo è il punto cruciale, poiché si discute di una nuova riforma delle pensioni che consentirebbe la quiescenza tra i 64 e i 72 anni di età. Una soluzione che modificherebbe profondamente l’attuale sistema, considerando che anche i coefficienti di trasformazione dovrebbero essere rivisti, dato che attualmente coprono il periodo dai 57 ai 71 anni.
Si tratterebbe di un cambio di rotta, con pensioni flessibili a partire dai 64 anni di età, ma a discapito dei lavoratori. Probabilmente, infatti, la nuova misura imporrebbe una penalizzazione, da scegliere tra le due classiche opzioni sempre discusse: o il ricalcolo contributivo della prestazione, che penalizza in modo diverso i lavoratori a seconda del numero di anni di contributi versati prima del 1996, oppure il taglio lineare per ogni anno di anticipo, che potrebbe raggiungere anche il 3,5% per ogni anno di anticipo rispetto all’età pensionabile di vecchiaia (67 anni, ndr).
Penalizzazioni e tagli, ma flessibilità in uscita garantita
Ma le novità non si fermano ai tagli e alle penalizzazioni. Si parla infatti di una “pensione flessibile” con un importo minimo da raggiungere. La pensione non dovrebbe essere inferiore a 15 volte l’assegno sociale, oppure non inferiore a 800 euro al mese.
Tuttavia, se l’età diventa variabile, ciò che potrebbe suscitare malcontento è il cambio del requisito contributivo minimo, che salirebbe a 25 anni. Da molti anni, i lavoratori considerano i 20 anni come il requisito minimo per la carriera contributiva necessaria per la pensione. Nel corso degli anni, l’età pensionabile è cambiata rapidamente e costantemente.
Per esempio, dal 1° gennaio 2019, l’età pensionabile è passata da 66 anni e 7 mesi a 67 anni. Tuttavia, non si era mai intervenuti sui contributi minimi da versare.