Tutti i lavoratori che anticipano l’uscita dal mondo del lavoro rispetto ai requisiti ordinari sono soggetti a determinati vincoli restrittivi, che possono avere varie conseguenze. Primo tra tutti, il ricevere una pensione più bassa, indipendentemente dalla misura scelta per l’uscita anticipata. Non esiste infatti una pensione che consenta di ricevere un importo superiore uscendo prima dal lavoro.
Inoltre, ci sono specifiche misure che impongono al lavoratore di accettare condizioni peggiorative sia nel calcolo sia nella struttura del trattamento pensionistico percepito.
Le pensioni anticipate e le regole di calcolo che penalizzano gli assegni
Partiamo dalle regole di calcolo dei trattamenti pensionistici che naturalmente portano a una pensione percepita più bassa per chi lascia anticipatamente il lavoro. La regola generica, valida sia per le pensioni ordinarie sia per quelle in deroga, è chiara: meno contributi versati equivalgono a una pensione minore. Inoltre, chi lascia il lavoro prima riceve una pensione inferiore anche a parità di contributi versati, poiché i coefficienti di trasformazione dei contributi in pensione sono sfavorevoli per chi si ritira in giovane età. Queste condizioni, fisse e non soggette a scadenza, comportano una riduzione permanente dell’assegno pensionistico.
Pensioni anticipate libere da vincoli, ecco quando il pensionato può ottenere il massimo
Alcune misure che consentono un netto anticipo della pensione comportano una penalizzazione significativa e permanente, come il calcolo contributivo della prestazione pensionistica. Questo tipo di calcolo è applicato, ad esempio, alle lavoratrici che optano per l’opzione donna, consentendo loro di uscire dal lavoro già a 59 anni, e anche alla recente misura della quota 103, che permette di andare in pensione a 62 anni con 41 anni di contributi versati. In entrambi i casi, il sistema contributivo adottato implica una penalizzazione duratura.
Come funziona il calcolo contributivo e perché ci sono proposte che lo vogliono a termine
L’idea di un calcolo contributivo temporaneo è stata proposta dal presidente dell’INPS Pasquale Tridico, che suggerì una riforma pensionistica basata su un calcolo contributivo limitato nel tempo. Dopo la liquidazione dell’anticipo e fino alla fine dello stesso, la pensione sarebbe calcolata in modo contributivo, per poi essere ricalcolata a 67 anni aggiungendo la parte retributiva inizialmente esclusa. Questa proposta, tuttavia, non ha trovato attuazione.
Dalla quota 103 all’Ape sociale, stessi vincoli ma a scadenza
Non solo nelle ipotesi di riforma pensionistica, ma anche in alcune misure previdenziali attuali, troviamo penalizzazioni con scadenza. Ad esempio, la quota 103 è diventata contributiva nel 2024, ma presenta altre due limitazioni temporanee: il massimo della pensione è limitato a quattro volte il trattamento minimo fino ai 67 anni, età in cui si può accedere alla pensione di vecchiaia ordinaria, e il divieto di cumulare redditi da lavoro con la pensione, che vale anche per l’Ape sociale e termina a 67 anni.
La pensione a 67 anni di età diventa migliore, ecco perché
Per chi anticipa la pensione con la quota 103 o l’Ape sociale, esiste un divieto temporaneo di cumulare redditi da lavoro con la pensione. Eccetto per il lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro annui. Questo vincolo scade a 67 anni. Età in cui il pensionato può considerarsi libero di tornare al lavoro. Anche con queste misure, i vincoli contributivi rimangono applicati permanentemente.
Decadenza dell’Ape sociale e passaggio alla pensione di vecchiaia, tutti i vantaggi delle pensioni anticipate libere da vincoli
L’Ape sociale, oltre al divieto di cumulo con i redditi da lavoro, impone un tetto massimo di 1.500 euro al mese alla pensione. Vincolo che scade a 67 anni. All’età di 67 anni, l’Ape sociale decade e il beneficiario transita alla pensione di vecchiaia ordinaria.