Pensioni: da quest’anno meno soldi per tutti

Calano gli importi degli assegni per chi lascia il lavoro quest’anno. Cosa incide sul calcolo delle pensioni e perché saranno più basse.
4 anni fa
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Calano la pensioni. Con il 2021 l’importo dei nuovi assegni sarà inferiore per chi si appresta ad andare in pensione. Si tratta sostanzialmente degli effetti del sistema di calcolo contributivo e della rivalutazione del montante.

Quest’anno, infatti, la quasi totalità dei lavoratori andranno in pensione con il sistema di calcolo misto, cioè in parte retributivo e in parte contributivo. Ogni anno che passa, il regime retributivo si assottiglia mentre si allarga quello contributivo. Come un ago che si sposta in avanti di anno in anno fino ad andare a regime per tutti fra 14-15 anni-

Pensioni più basse nel 2021 per chi lascia il lavoro

Sicché, a parità di contributi versati, chi è andato in pensione lo scorso anno percepisce qualcosa di più rispetto a chi ci andrà nel 2021.

E chi lo farà nel 2022 avrà un assegno inferiore a chi ha lasciato il lavoro quest’anno.

Ricordiamo che il peso del calcolo retributivo per la pensione vale solo per i contributi versati prima del 1996. E solo chi ne ha almeno per 18 anni può andare in pensione con sistema retributivo, più vantaggioso rispetto a quello contributivo.

Tuttavia, ogni anno che passa, la platea di chi ha almeno 18 anni di versamenti ante 1996 è sempre più esigua. E il lento scivolo verso il regime contributivo si fa più preponderante man mano che passano gli anni.

Per fare un esempio, chi oggi lascia il lavoro con 41 anni di contributi pieni nella gestione Inps lavoratori dipendenti, potrà accedere alla pensione con sistema di calcolo “misto” potendo far valere 16 anni di contributi versati nel sistema retributivo e 25 nel sistema misto.

Fra 5 anni, lo stesso lavoratore, potrà far valere gli stessi anni di contribuzione, ma ripartiti in 30 nel sistema contributivo e solo 11 nel sistema retributivo. In questo caso la pensione che ne deriverà sarà inferiore rispetto al primo caso.

I lavoratori più colpiti

Difficile fare delle stime sui tagli perché le variabili sono tante. A partire dagli anni di contribuzione, al montante contributivo, per finire con la tipologia di pensione (anticipata o di vecchiaia).

Le lavoratrici che andranno in pensione con opzione donna, ad esempio, sono le più penalizzate. Questo perché la legge prevede per questo tipo di pensionamento anticipato la liquidazione esclusivamente con il sistema contributivo. Anche per la parte dei versamenti effettuati prima del 1996 per i quali si dovrà chiedere obbligatoriamente la migrazione dal sistema retributivo a quello contributivo.

Quota 100

Chi lascerà il lavoro con quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi) non sarà particolarmente penalizzato. L’alternativa sarebbe quella di attendere 3-4 anni prima di andare in pensione con i requisiti previsti dalla riforma Fornero (41 anni e 10 mesi per le donne e 42 e 10 mesi per gli uomini).

Ma questi anni di lavoro penalizzeranno il lavoratore. Come abbiamo visto, più tempo passa e meno si potrà attingere dal sistema di calcolo retributivo con conseguente perdita di soldi al momento della liquidazione.

Pensioni e montante contributivo

A regolare l’andamento degli assegni delle pensioni è anche la rivalutazione del montante contributivo. Dal 1995 il montante, cioè il cumulo dei versamenti effettuato da ciascun lavoratore, è legato al Pil. Se il Pil cresce anche il montate aumenta, ma se l’economia va male, il montante non si rivaluta.

E considerando che la crisi pandemica ha messo in ginocchio la crescita economica italiana, in buona sostanza chi andrà in pensione in futuro dovrà aspettarsi assegni leggermente inferiori rispetto ai colleghi che hanno lasciato il lavoro prima.

Il coefficiente di rivalutazione

In fase di liquidazione della pensione, l’Inps o altro ente di previdenza, applica un coefficiente al montante, detto anche coefficiente di trasformazione, calcolato appunto sulla variazione media della crescita economica del Paese.

Per il 2019-2020 questo coefficiente è pari al 5,60% per chi decide di lasciare il lavoro a 67 anni, cioè al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia (il valore scende al decrescere dell’età di pensionamento). Dal 2012, viene aggiornato ogni tre anni e il prossimo aggiornamento è previsto a partire dal prossimo anno quando verrà recepita anche la variazione del Pil negativo a seguito di pandemia.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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