Di gender gap, ossia diversità di trattamento tra uomini e donne, si parla spesso non solo in merito a stipendi e bonus ma anche sul fronte pensioni.
Le pensioni delle donne sono mediamente inferiori di un terzo rispetto a quelle degli uomini. Più esattamente, nei primi tre mesi dell’anno il gap fra le pensioni di uomini e donne si è allargato al 35%.
Secondo i dati del monitoraggio sui flussi di pensionamento Inps, gli uomini percepiscono un assegno medio di 1.520 euro. Mentre le donne arrivano a 991 euro al mese.
Perché le pensioni delle donne sono più basse
Letti così questi dati suonano male ed evidenziano un problema di sistema che in realtà non c’è, come sottolinea l’ufficio studi di Itinerari Previdenziali.
Certo è che se una lavoratrice versa meno contributi rispetto a un lavoratore, poi i risultati alla fine si vedono e si toccano. Le disuguaglianze e le scelte personali che caratterizzano la carriera lavorativa hanno quindi ripercussioni anche sulle prestazioni pensionistiche.
E’ questa una delle cause principali del gender gap pensionistico italiano. Un altro fattore che determina il divario, in senso negativo per le donne, è dato dal numero delle pensioni ai superstiti che è risultato nel periodo gennaio-marzo 2022 di 37.108 assegni contro i 7.041 degli uomini.
Quanto pesa Opzione Donna
Ma la forbice con gli uomini si sta allargando anche per via di Opzione Donna. Questa prerogativa, riservata alle lavoratrici, prevede l’accesso alla pensione già a 58 anni con almeno 35 di contributi con il sistema di calcolo interamente contributivo. Di fatto, molto penalizzante rispetto al calcolo misto e alle pensioni di vecchiaia.
Nessuno costringe le donne a lasciare il lavoro prima, ma è evidente che l’importo della pensione a 58 anni non può essere lo stesso che a 67 anni (vecchiaia).
Sembra che le donne siano più penalizzate degli uomini. Ma da una attenta analisi emerge anche che le donne percepiscono un maggior numero di pensioni pro-capite, in media 1,51 prestazioni a testa, a fronte dell’1,32 degli uomini. Rappresentano infatti il 58,6% dei titolari di 2 pensioni, il 68,6% dei titolari di 3 pensioni e il 70,5% dei percettori di 4 e più trattamenti.
Se sommiamo tutte le prestazioni, il gender gap si assottiglia e salta fuori che le donne non sono poi così svantaggiate come si vuol far credere. In ogni caso, anche se percepiscono un trattamento inferiore a quello degli uomini, hanno un’aspettativa di vita superiore e quindi godono di una prestazione minore ma più duratura.