Ci sono diverse novità che bollono in pentola per quanto riguarda le pensioni 2025 in Italia. Anche senza una vera riforma delle pensioni, qualcosa dovrebbe cambiare, almeno in base alle intenzioni che il governo sembra avere in materia previdenziale.
Per esempio, l’idea è quella di contenere la spesa pubblica e ridurre l’età media di uscita, che dall’ultimo rapporto dell’INPS è risultata ancora troppo bassa. Tuttavia, senza inasprire i requisiti pensionistici: si parla infatti di premiare chi resta al lavoro piuttosto che punire chi decide di andare in pensione prima.
Un’altra novità potrebbe essere il ritorno al vecchio sistema di perequazione delle pensioni, lasciando da parte quello del 2024, che ha suscitato molte polemiche ed è stato oggetto di un possibile caso di incostituzionalità presso la Consulta.
In questo caso, però, si andrebbe in una direzione opposta rispetto al risparmio per le casse pubbliche. Più si aumentano le pensioni, maggiore è la spesa previdenziale, che invece andrebbe contenuta. Ma andiamo con ordine e vediamo di cosa si parla riguardo queste ipotesi di ritocco del sistema.
Pensioni flessibili 2025: un premio a chi resta al lavoro, ma come funziona questo bonus?
Un bonus per chi decide di rimanere al lavoro dopo i 67 anni sembra essere la via scelta per dare al sistema previdenziale una svolta nel segno del risparmio. Varare misure che penalizzano i lavoratori potrebbe essere impopolare, perciò si cerca un’alternativa: premiare chi resta al lavoro, garantendo bonus a livello previdenziale.
L’idea è incentivare i lavoratori a non lasciare il lavoro a 67 anni o prima, magari tenendoli al lavoro fino a 70 anni, su base volontaria, offrendo loro vantaggi immediati o un miglior calcolo della pensione. In pratica, una soluzione simile a quella proposta dal Ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo per i lavoratori pubblici.
In quel caso, l’idea era sostenuta anche dalla carenza di organico nella Pubblica Amministrazione, che nei prossimi anni, fino al 2030, potrebbe perdere oltre un milione di posti di lavoro a causa dei pensionamenti e dei trasferimenti verso il settore privato.
Pensioni da rimandare e premi da prendere: come funziona l’ipotesi bonus pensioni 2025
Confondere il settore pubblico con quello privato sarebbe un errore. Nel settore pubblico, oltre ai problemi di organico, bisogna affrontare l’obbligatorietà del pensionamento, valutando un eventuale prolungamento delle ipotesi di trattenimento in servizio.
I lavoratori più esperti potrebbero anche essere impiegati come tutor per i nuovi ingressi nelle Pubbliche Amministrazioni. Non è la prima volta che si pensa di premiare chi rimane al lavoro: in passato, ad esempio, funzionava il Bonus Maroni, introdotto da un governo Berlusconi con l’allora Ministro del Lavoro Roberto Maroni. Un esempio recente è la quota 103, che permette a chi ha maturato i requisiti per andare in pensione di rinunciarvi, restando al lavoro e ottenendo un incremento dello stipendio grazie all’esonero contributivo.
In questo modo, il lavoratore riceve un aumento della retribuzione per ogni anno aggiuntivo di lavoro a partire dal raggiungimento dei requisiti per la quota 103.
Il tipo di premio da dare a chi rimanda la pensione è tutto da decidere
Non è ancora chiaro quale strada verrà intrapresa per premiare chi sceglie di restare al lavoro. Si potrebbe puntare a un bonus in busta paga, come il Bonus Maroni o il bonus 103. Oppure garantire coefficienti più favorevoli per le pensioni 2025 oltre i 67 anni, offrendo assegni più elevati a chi esce dal lavoro più tardi.
Questa novità potrebbe essere accompagnata dalla conferma di misure come opzione donna, quota 103 e Ape sociale, che attualmente sono in vigore ma la cui scadenza è fissata al 31 dicembre 2024. Un’altra novità potrebbe essere il ritorno al vecchio sistema di perequazione, precedente a quello introdotto nel 2023 per adeguare le pensioni al tasso di inflazione.
Le previsioni di rivalutazione se tutto resta come ora
Infatti, il meccanismo introdotto dalla Legge di Bilancio 2023 ha portato a tagli nella rivalutazione, penalizzando soprattutto le pensioni superiori a quattro volte il trattamento minimo. Se nel 2025 il governo decidesse di mantenere il meccanismo attuale, si proseguirebbe con il seguente schema:
- 100% per i trattamenti pensionistici fino a quattro volte il trattamento minimo;
- 85% per i trattamenti compresi tra quattro e cinque volte il trattamento minimo;
- 53% per i trattamenti compresi tra cinque e sei volte il trattamento minimo;
- 47% per i trattamenti compresi tra sei e otto volte il trattamento minimo;
- 37% per i trattamenti compresi tra otto e dieci volte il trattamento minimo;
- 22% per i trattamenti superiori a dieci volte il trattamento minimo (nel 2023 questo scaglione era al 32%).
Se invece si decidesse di tornare al vecchio sistema, si avrebbe il seguente schema:
- 100% per i trattamenti pensionistici fino a quattro volte il trattamento minimo;
- 90% per i trattamenti compresi tra quattro e cinque volte il trattamento minimo;
- 75% per i trattamenti superiori a cinque volte il trattamento minimo.
Inoltre, si tornerebbe al sistema di perequazione progressiva, che garantiva la rivalutazione piena anche alle pensioni più elevate, per la parte fino a quattro volte il minimo. Negli ultimi due anni, invece, il meccanismo ha applicato aliquote fisse all’intero importo delle pensioni, non in maniera progressiva.
Tante chiacchiere ma nessuno dice che abbiamo ancora categorie di lavoratori molto privilegiati in materia di pensioni che peraltro non sono state toccate minimamente né dalla riforma Dini né dalla riforma Fornero. Un esempio? Il personale delle forze di polizia, militari e sicurezza. Ci costano un botto!