La riforma delle pensioni, discussa ormai da anni, dovrebbe garantire maggiore flessibilità al sistema pensionistico. Il problema attuale è evidente: il sistema manca di flessibilità. Di conseguenza, sono necessarie misure che facilitino l’accesso alla pensione per i lavoratori e offrano più libertà nella scelta dell’età di pensionamento. Tuttavia, alcuni sostengono che il sistema attuale possieda già una certa flessibilità, facendo riferimento a misure come la quota 103, così come in passato alla quota 100 o alla quota 102. Ma queste misure sono veramente flessibili? Per rispondere, è essenziale comprendere il vero significato di “flessibilità”.
“Buongiorno, vorrei capire come funziona la pensione flessibile a 62 anni di cui tanto si parla. Ho compiuto 62 anni, ma l’unica misura che sembra consentire la pensione a questa età è la quota 103. Io ho 30 anni di contributi, non 41 come richiede la quota 103. Quindi, che tipo di flessibilità è questa? Potete spiegarmi perché i legislatori parlano in questi termini? Scusatemi lo sfogo, ma trovo ingiusto il sistema.”
Pensioni flessibili: cosa offre il sistema oggi per anticipare a 62 anni l’uscita
Il nostro lettore solleva un punto cruciale con il suo quesito. Contrariamente a quanto affermano i legislatori, il nostro sistema pensionistico è tutt’altro che flessibile. Le pensioni in Italia sono caratterizzate da requisiti piuttosto rigidi. L’intento della riforma delle pensioni è di permettere ai lavoratori di ritirarsi liberamente, anche se questo comporta ricevere una pensione ridotta.
La flessibilità, quindi, dovrebbe consentire ai lavoratori di scegliere quando ritirarsi, una volta raggiunti un certo numero di anni di contributi e una certa età. Tuttavia, anche le pensioni basate sulle quote, sia quelle vecchie come la quota 100 e la quota 102 che la nuova quota 103, offrono una flessibilità limitata.
Ecco come funzionano le pensioni oggi e come dovrebbero funzionare
L’idea di base per conferire flessibilità al sistema è di implementare una prestazione che consenta ai lavoratori di pensionarsi a partire dai 62 anni di età e con almeno 20 anni di contributi.
Il sistema contributivo, adottato in molti paesi, si basa sulla flessibilità: le pensioni sono calcolate esclusivamente sui contributi versati, quindi, più presto si esce dal lavoro, minori saranno i contributi e, di conseguenza, la pensione sarà più bassa. In Italia, i coefficienti di trasformazione penalizzano ulteriormente chi sceglie un’età di uscita più bassa.
Questa scelta dovrebbe essere lasciata alla libera determinazione del lavoratore, in base alle sue esigenze personali, rispecchiando il principio originale della flessibilità.
La pensione a quota e la flessibilità limitata che offre
Oggi, la quota 103 viene definita come una pensione flessibile a 62 anni perché permette al lavoratore di pensionarsi a quell’età con 41 anni di contributi. Tuttavia, se si hanno 41 anni di contributi, ci si trova a soli 22 mesi dalla pensione anticipata ordinaria per gli uomini, e solo dieci mesi per le donne (che possono accedere alla pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).
In questo scenario, la flessibilità è limitata, poiché il lavoratore può solamente scegliere tra andare in pensione subito o aspettare per raggiungere i 42,10 o 41,10 anni di contributi necessari.
Flessibilità limitata nelle misure dei quotisti
La situazione era leggermente migliore con la quota 100 e la quota 102. Che permettevano il pensionamento a 62 e 64 anni rispettivamente, con 38 anni di contributi. Queste misure offrivano combinazioni più ampie per il pensionamento rispetto alla quota 103. Un lavoratore poteva scegliere di andare in pensione a 62, 63 o 64 anni con 38, 39 o 40 anni di contributi.
La flessibilità nel calcolo contributivo dovrebbe facilitare l’introduzione di maggiore flessibilità, permettendo al lavoratore di scegliere tra una pensione più bassa uscendo prima o una più alta uscendo dopo.