Se l’economia non cresce, le pensioni future saranno sempre più basse. Pochi lo sanno, ma la rendita dei lavoratori dipende anche dalla rivalutazione del montante contributivo. Cioè la somma dei contributi versati durante gli anni di lavoro.
Ebbene, il capitale versato si rivaluta nel tempo in base all’andamento dell’economia italiana. Il dato ufficiale su cui si aggancia è il Pil. Quindi, se le cose non vanno bene o secondo le previsioni, anche le pensioni saranno più basse.
La rivalutazione del montante contributivo
In gergo si parla di tasso di capitalizzazione che incide sull’entità dell’importo della pensione.
Il montante contributivo si calcola quindi come la somma dell’ammontare dei contributi di ciascun anno. E’ rivalutato annualmente sulla base del tasso di capitalizzazione risultante dalla variazione media quinquennale del Pil.
La rivalutazione del montante contributivo su base composta è effettuata il 31 dicembre di ciascun anno. Influisce sulle pensioni che decorrono dal 1° gennaio dell’anno successivo. L’importo, così rivalutato, costituisce quindi il tesoretto del lavoratore per i periodi di pensione calcolati dopo il 31 dicembre 1995.
Come si calcola la pensione
In altre parole, meno cresce l’economia italiana, minore sarà il tasso di capitalizzazione e più bassa la pensione a parità degli altri parametri come l’età di uscita e la carriera lavorativa. A questo meccanismo sono esposti soprattutto coloro cioè che sono entrati nel mondo del lavoro dopo il 1995 per i quali la pensione si calcola con il solo sistema contributivo.
Ma anche coloro che optano per la liquidazione della pensione interamente con le regole di calcolo contributive (Opzione Donna).
Ma perché la pensione è più bassa col trascorrere degli anni? E quanto incide l’inflazione? Ebbene per dare una risposta a questo quesito bisogna innanzitutto partire dal presupposto che il Pil cresce tendenzialmente meno dell’inflazione. Vero che gli assegni vengono adeguati in base alla variazione dei prezzi al consumo, ma sempre in ritardo.
Considerato che il Pil negli ultimi 20 anni è cresciuto mediamente meno dell’inflazione, ben si può immaginare l’erosione del valore nominale della pensione nel tempo. Anche se, poi, gli assegni vengono rivalutati periodicamente in base all’inflazione, la perdita di potere di acquisto sui contributi versati è ampia.