La riforma pensioni non si farà: lo sanno tutti tranne i lavoratori

Da Bruxelles fanno sapere che i conti dell’Italia sono fuori posto e che serve rigore. Sulle pensioni c’è poco spazio di manovra e l’anno prossimo ci sono le elezioni.
2 anni fa
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pensioni

La riforma pensioni sarà probabilmente una farsa. Il premier Draghi lo sa benissimo, così come i partiti che sostengono il governo. E pure i sindacati, anche se giocano un ruolo diverso. Gli unici che ci sperano sono i lavoratori.

Per fare una riforma sensata e strutturale in Italia servirebbe una rivoluzione del sistema attuale che però metterebbe a soqquadro le finanze pubbliche. Cosa già fatta in passato, peraltro. E Draghi ha avvertito che qualsiasi riforma pensioni dovrà essere finanziariamente sostenibile.

I conti dell’Italia  nel mirino di Bruxelles

Quindi, al massimo ci sarà qualche ritocco dal 2023. La proroga di Opzione Donna e Ape Sociale. Forse anche di quota 102. Ma niente di più. Mandare tutti in pensione a 62 anni con quota 41 come chiedono i sindacati è impossibile. Cadrebbe il governo ancor prima di iniziare la discussione.

Questione di soldi. Soldi che non ci sono o che sono utilizzati per altri scopi (si veda il reddito di cittadinanza o il potenziamento della spesa per gli armamenti), ma non per le pensioni. E sul punto da Bruxelles è arrivato un monito chiaro per il contenimento della spesa e poco rassicurante.

L’Unione Europea è infatti tornata a mettere nel mirino i conti dell’Italia. Il rapporto tra debito pubblico e Pil del nostro Paese è troppo elevato. Nonostante sia previsto in discesa al 143,5% nel 2024 e al 141,4% nel 2025 , secondo la Commissione europea non è sostenibile.

Riforma pensioni senza soldi

Inutile quindi farsi illusioni. La riforma pensioni non si farà e le regole Fornero varranno per tutti. Unica possibilità sarebbe quella di concedere l’anticipo a partire dai 64 anni di età ma col ricalcolo contributivo. O, meglio ancora, la pensione in due tempi, sempre a partire dai 64 anni di età, come propone l’Inps.

Solo in questo caso si potrebbe approntare una riforma finanziariamente sostenibile. Ma sarebbe comunque una sconfitta per i lavoratori, soprattutto per chi ha iniziato a versare contributi prima del 1996.

L’alternativa sarà il nulla di fatto, come più probabile. Del resto l’anno prossimo ci sono anche le elezioni politiche e nessun partito ha intenzione di presentarsi al cospetto degli elettori con le mani insanguinate da riforma ingiuste o impopolari. Meglio, quindi, lasciare le cose come stanno.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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