Le pensioni delle donne sono più basse di quelle degli uomini. O sono quelle degli uomini che sono più alte di quelle delle donne? E’ l’eterno dilemma. Di fatto, il gender gap previdenziale è di circa il 35% con tendenza ad allargarsi negli anni, come evidenziano i dati statistici diffusi all’Osservatorio delle pensioni Inps.
Nei primi mesi del 2023 il divario si è accentuato per tutte le categorie di lavoratori e lavoratrici arrivando al 35%. Secondo i dati del monitoraggio sui flussi di pensionamento, gli uomini percepiscono un assegno medio di 1.520 euro.
Gender gap pensioni: donne eterne penalizzate
Leggendo i dati statistici sembra che vi siano diversi trattamenti previdenziali e le donne siano perennemente svantaggiate rispetto agli uomini. Che gli uomini prendono pensioni più alte. Ma non è esattamente così. La pensione rispecchia quanto svolto durante la carriera lavorativa. Né più né meno, anche perché le regole sono uguali per tutti i lavoratori e non vi sono disparità di trattamento.
Certo è che se una lavoratrice, volente o nolente, versa meno contributi rispetto a un lavoratore, poi i risultati alla fine sono quelli che vediamo. Alla base di tale differenza, quindi, vi sono basi contributive diverse che determinano risultati diversi con evidenti ripercussioni sulle prestazioni pensionistiche.
A incidere sulla carriera lavorativa sono numerosi fattori che per le donne sono più evidenti. Si pensi, ad esempio ai periodi di maternità, ai congedi, piuttosto che alle differenze di carriera e progressione in carriera sul posto di lavoro.
Cosa determina la pensione più bassa per le donne
Poiché i dati statistici sono interpretati nel loro insieme senza particolare distinzione, il fattore principale che determina il gender gap femminile è un altro. In parole semplice: la pensione ai superstiti.
Poiché la pensione in questi casi è ridotta almeno del 40%, risulta del tutto evidente che l’importo è più basso rispetto a quello degli uomini. La media ponderata degli assegni è quindi “viziata”, se così si può dire, anche da questo fattore di cui spesso non si teine conto. Poi c’è Opzione Donna.
Opzione Donna
Se la forbice fra pensioni maschili e femminili si è allargata molto negli ultimi 10 anni è anche a causa del pensionamento anticipato previsto da Opzione Donna Questa prerogativa, riservata alle lavoratrici dipendenti e autonome, prevede l’accesso alla pensione già a 58 anni con almeno 35 di contributi con il sistema di calcolo interamente contributivo.
L’importo medio delle pensioni femminini, in questo caso, raggiunge a mala pena i 900 euro al mese. Ne scaturisce una lettura dei dati completamente sbilanciata verso il sesso maschile che, del resto, non ha avuto le stesse possibilità di uscita anticipata prevista per le donne.
Da una attenta analisi, infine, emerge che le donne percepiscono un maggior numero di pensioni pro capite, in media 1,51 prestazioni a testa, a fronte dell’1,32 degli uomini. Rappresentano infatti il 58,6% dei titolari di 2 pensioni, il 68,6% dei titolari di 3 pensioni e il 70,5% dei percettori di 4 e più trattamenti.
Sommando tutte le prestazioni, quindi, il gender gap si assottiglia e salta fuori che le donne non sono poi così svantaggiate come si vuol far credere. In ogni caso, anche se percepiscono un trattamento inferiore a quello degli uomini, campano più a lungo.
Riassumendo…
- Le pensioni delle donne sono mediamente più basse di quelle degli uomini di un terzo.
- Il gender gap non deriva da disparità di trattamento previdenziale.
- Le pensioni ai superstiti e Opzione Donna contribuiscono ad allargare le differenze.