L’inflazione torna a correre in Italia e per le pensioni non si mette bene. Ad aprile l’Istat ha ravvisato un rialzo del 8,3%, oltre le attese, dopo che a marzo l’ascesa dei prezzi aveva subito una battuta d’arresto.
Nel frattempo Claudio Durigon, sottosegretario leghista al Lavoro, insiste sulla necessità di mandare tutti in pensione dopo 41 anni di lavoro a prescindere dall’età anagrafica. La misura, nota come Quota 41, è già attiva quest’anno, ma è vincolata al requisito anagrafico minimo di 62 anni e si chiama Quota 103.
L’inflazione impatta sui piani di riforma pensioni
Ma al di là dei buoni propositi della Lega, il governo non può non tenere conto dello stato delle cose. E cioè della spesa crescente per le pensioni in Italia a fronte di un debito pubblico che continua a salire anche a causa dell’inflazione che non si ferma.
Dati alla mano, nel 2021 il conto nazionale delle pensioni pagate dall’Inps è aumentato dell’1,5%, portandosi a quota 238,27 miliardi di euro. Con previsione di sfondare la soglia dei 250 miliardi nel 2025, se non prima, raggiungendo in percentuale il 16,4% del Pil. Non solo, il contesto sociale è in declino per via del calo demografico che minaccia alla base la capacità di contribuzione al sistema.
Al punto Moody’s, una delle tre principali agenzie di rating, starebbe per declassare il debito pubblico (record) italiano a livello di spazzatura. Aggiungere, quindi, altre spese al capitolo pensioni sarebbe come buttare benzina sul fuoco e alimentare un incendio che sembra non fermarsi più. Ci vorrebbero, infatti, altri 9 miliardi di euro all’anno per sostenere Quota 41.
Quota 41 in cambio di tagli?
Dunque, non si può assolutamente fare altro debito. Anzi va tagliato quello esistente. Ma dove andare a prendere i soldi? Con l’inflazione che morde sarà anche necessario rivalutare ulteriormente le pensioni nel 2024. E non di poco.
Una delle soluzioni, alle quali i sindacati si sono sempre opposti, sarebbe quella di concedere Quota 41, come chiede la Lega, in cambio del ricalcolo della pensione col sistema interamente contributivo. Si anticiperebbe così di una decina di anni l’entrata a regime del calcolo della rendita introdotto nel 1996 dalla riforma Dini.
Ovviamente questo implica una perdita di valore della pensione. Ma, al momento, non si intravvedono alternative per limitare l’impatto economico dell’introduzione di Quota 41 per tutti dal prossimo anno. Pena lo sconquasso dei conti dell’Inps, già in precario equilibrio. Come avverte il presidente Pasquale Tridico “il quadro da qui al 2029 non è positivo”. Col rischio che a quella data il patrimonio dell’Istituto diventi negativo per 92 miliardi di euro.
Perchè il costo per prestazioni previdenziali nel 2021 ha raggiunto i 312 miliardi di euro (il 16,2% del Pil) ed è in crescita ogni anno che passa. E la voce che incide maggiormente è proprio quella sulle pensioni anticipate (il 56% del totale).