Pensioni INPS a 64,2 anni di età? Troppo presto, ma ecco la verità dal sistema previdenziale

In pensione a 64,2 anni di età è troppo presto, almeno per quello che riguarda i dati dell'INPS nel rapporto annuale.
2 mesi fa
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In pensione a 64,2 anni di età è troppo presto? Ecco la verità dal sistema previdenziale
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In Italia, andare in pensione è più semplice rispetto al resto d’Europa e le pensioni risultano essere più ricche. Questi sono i principali risultati che emergono dal rapporto annuale dell’INPS sulle pensioni, già commentati da diversi autorevoli esponenti del mondo politico ed economico italiano. Tra questi, spicca Elsa Fornero, che ha recentemente espresso il suo parere sui dati del rapporto annuale dell’INPS.

I dati sembrano confermare due aspetti fondamentali: la tanto discussa riforma Fornero ha avuto un impatto positivo e modificarla non solo risulta difficile, ma potrebbe compromettere la sostenibilità del sistema pensionistico italiano.

In genere, quando si tratta di numeri, è difficile confutarli. Tuttavia, in questo caso, sentiamo la necessità di approfondire meglio alcuni aspetti.

Cosa è emerso dal rapporto annuale dell’INPS sulle pensioni in Italia

Come ogni anno, l’INPS ha pubblicato un rapporto che monitora lo stato di salute del sistema previdenziale italiano. Quello pubblicato di recente è il “XIII Rapporto annuale dell’INPS”. Senza entrare nei dettagli di un documento che supera le 400 pagine, i punti principali, che hanno immediatamente suscitato dibattiti, sono i seguenti:

  • L’età pensionabile in Italia è fissata a 67 anni, ma l’età media di uscita dal mondo del lavoro è di 64,2 anni;
  • Uscire dal lavoro a 64,2 anni è considerato troppo presto e, se non si interviene, questa situazione potrebbe diventare insostenibile;
  • L’età di uscita media in Italia è inferiore rispetto a quella degli altri Paesi europei;
  • Gli importi delle pensioni italiane sono mediamente più alti del 14% rispetto alla media europea.

Come interpretare i numeri del XIII rapporto annuale dell’INPS

Guardando ai dati del rapporto INPS, si possono trarre conclusioni abbastanza chiare. Un presupposto da tenere a mente è che molte delle credenze diffuse tra i lavoratori sono, in realtà, semplici luoghi comuni. Il nostro sistema pensionistico, spesso percepito come svantaggioso, risulta in realtà più vantaggioso rispetto a quello di molti Paesi europei.

Di conseguenza, tutte le proposte per introdurre nuove misure di pensionamento anticipato in Italia appaiono non solo superflue, ma anche difficili da attuare.

Possiamo quindi dire addio alla quota 41 per tutti, così come alla flessibilità a 64 anni, agli anticipi e ad altre misure che derogano ai requisiti ordinari. Anzi, il fatto che si vada in pensione troppo presto potrebbe portare a futuri correttivi alle misure attualmente in vigore.

Ad esempio, sembra che le pensioni anticipate ordinarie con 42 anni e 10 mesi di contributi abbassino l’età media di uscita dal mondo del lavoro a 64,2 anni. Forse, sarebbe meglio aumentare questo limite.

Le pensioni in Italia sono davvero troppo basse? Falso, almeno secondo i dati INPS

In base ai dati del rapporto INPS, anche l’idea che le pensioni in Italia siano troppo basse è da rivedere. Se le pensioni italiane risultano superiori del 14% rispetto alla media europea, i discorsi su pensioni minime da 1.000 euro o sulla necessità di introdurre pensioni di garanzia per evitare la povertà sembrano non trovare fondamento nei numeri.

Ma questo significa che tutte le certezze su cui si basavano gli incontri tra governo e sindacati sono state smentite dai dati?

Potrebbe sembrare così, ma è importante analizzare il contesto più ampio. Innanzitutto, i dati INPS sono medi e non riflettono la totalità delle situazioni in Italia. Le pensioni troppo basse esistono ancora e restano una realtà per molti, così come l’età di pensionamento effettiva può variare notevolmente, con alcuni lavoratori che devono attendere anni oltre la media per andare in pensione.

Alcune verità che il rapporto INPS non considera

Le pensioni basse sono una costante per chi ha solo 20 anni di contributi. Ad esempio, un lavoratore dipendente con uno stipendio medio di 2.000 euro al mese, che va in pensione a 67 anni con 20 anni di contributi, otterrà una pensione di circa 750 euro al mese.

In tutta la sua carriera avrà versato più di 170.000 euro in contributi. Questo significa che per “recuperare” quanto versato, il pensionato dovrebbe vivere oltre gli 86 anni, solo dopo tale età comincerebbe a gravare sulle casse dello Stato.

Inoltre, l’età media di uscita a 64,2 anni è un obiettivo irraggiungibile per chi ha pochi contributi. Escludendo la pensione anticipata contributiva, che permette di uscire a 64 anni con 20 anni di contributi, ma solo con una pensione di almeno 1.600 euro al mese, le altre misure impongono vincoli molto rigidi.

Spesso sono necessarie carriere lavorative di oltre 40 anni per poter andare in pensione prima dei 67 anni. Questo vale anche per chi svolge lavori pesanti come facchini, lavoratori edili o addetti alla manutenzione stradale. Le poche agevolazioni disponibili, come l’Ape sociale, richiedono comunque almeno 36 anni di contributi, mentre la quota 41 è riservata solo ai precoci con almeno 41 anni di contributi.

Conclusioni sullo stato del sistema pensionistico dal punto di vista di alcuni lavoratori

I numeri sono numeri e vanno interpretati come tali. Sono reali, ma rappresentano solo una media e non giustificano l’inasprimento dei requisiti per l’accesso alla pensione, soprattutto se applicato in modo generalizzato.

Esistono lavoratori che devono aspettare fino a 71 anni per andare in pensione, semplicemente perché non hanno accumulato i 20 anni di contributi necessari entro i 67 anni. Alcuni, in particolare coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 1996, potrebbero non andare mai in pensione. Inoltre, ottenere una pensione di importo rilevante è oggi sempre più difficile, a meno che non si abbiano stipendi molto alti.

Questo è un fenomeno raro, come evidenziato dallo stesso rapporto INPS, che sottolinea come nel 2023 ci sia stato un miglioramento nel numero di occupati rispetto al 2019 (26,6 milioni contro 25,5), ma con stipendi il cui potere d’acquisto è cresciuto solo del 6%, contro un’inflazione che è aumentata tra il 15% e il 17%.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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