Pensioni integrative, conviene aderire o no?

Assicurazioni e banche spingono per le pensioni integrative, ma in Italia c’è ancora molta reticenza. Solo un lavoratore su tre ha sottoscritto un fondo.
2 anni fa
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pensione integrativa

Tutti che spingono per le pensioni integrative. Banche, assicurazioni e perfino i governi sostengono che per i giovani lavoratori è necessario avere una rendita complementare da affiancare a quella pubblica.

Ma in Italia questo principio sembra attecchire poco. Oggi, solo un lavoratore su tre ha una pensione integrativa. Contro la media dei Paesi anglosassoni dove un lavoratore su due ha una pensione supplementare.

In Italia uno su tre ha una pensione integrativa

Il dato emerge dal Rapporto annuale dell’Ania, che fotografa un quadro in evoluzione, ma ancora lenta.

Non è colpa di certo degli italiani, che non sono diversi dagli inglesi o olandesi, ma dei relativi sistemai pensionistici.

In Italia sono ancor oggi pagate pensioni sopra la media europea. Il sistema di calcolo retributivo e la spesa previdenziale nel nostro Paese (quasi il 17% del Pil) rendono ancora non necessario ricorrere a strumenti di previdenza integrativa. Vale a dire che la maggior parte dei pensionati italiani sta bene con le rendite pubbliche.

Per i giovani le prospettive sono diverse, visto che il sistema di calcolo interamente contributivo non permetterà di avere pensioni pari a quelle dei loro genitori. Tuttavia anche i giovani faticano ad affacciarsi ala previdenza complementare. Perché?

II rischio dei fondi

Di base ci sono alcuni difetti di fondo che rendono poco attraenti le pensioni integrative. Nonostante i rendimenti degli ultimi 15 anni abbiano battuto il TFR, restano molti dubbi in fatto di trasparenza. I fondi pensione sono ancora più opachi dei fondi comuni d’investimento – dicono gli esperti – al punto che è difficile sapere quali titoli vengono comprati o venduti, quando e a che prezzo.

E poi ci sono i rischi. I fondi pensioni conducono a perdite anche dell’80%, se crollano i mercati finanziari. Lo dimostrano i dati storici. Prendendo il ventennio da fine 1962 a fine 1982 un fondo pensione avrebbe condotto a risultati disastrosi, anche se ben gestito e a costi bassissimi.

Al contrario, il TFR avrebbe preservato i 4/5 della somma accantonata al netto dell’inflazione.

Ci sono infine i costi occulti dei gestori che si mangiano parte dei guadagni ed erodono il capitale investito se i fondi perdono. Il rendimento è quindi indeterminato rispetto a quanto avviene per il TFR.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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