Mancano meno di tre settimane alle elezioni politiche e i partiti hanno lanciato diverse proposte sulle pensioni, perlopiù finalizzate ad evitare il ritorno alla legge Fornero. Legge approvata a fine 2011 subito dopo la nascita del governo Monti. Erano i mesi in cui si temeva il fallimento dell’Italia e serviva il “sangue” dei pensionati per rassicurare i mercati. Il governo Berlusconi era caduto sullo spread alle stelle. Gli investitori chiedevano conti pubblici ordinati e riforme economiche. I conti dell’INPS sembravano andare fuori controllo.
Proposte dei partiti
Dall’anno prossimo, in assenza di novità legislative, si tornerà proprio a quella riforma e si potrà andare in pensione a 67 anni di età per uomini e donne o, in alternativa, con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. A spendersi di più per superare tale schema sono stati ad oggi la Lega di Matteo Salvini con la proposta di quota 41 e Forza Italia di Silvio Berlusconi con l’innalzamento delle pensioni minime a 1.000 euro al mese. Dall’altra parte, il Partito Democratico vorrebbe sfruttare la flessibilità già offerta da Opzione Donna e Ape Social. Insomma, una flessibilità “selettiva” per non creare sconquassi nei conti dell’INPS. Qual è il problema? Fino a tutto quest’anno, i lavoratori possono andare in pensione con quota 102, cioè con almeno 64 anni di età e 38 anni di contributi, cioè fino a 3 anni prima dell’età pensionabile ufficiale.
In cosa consiste quota 41? Tutti in pensione con 41 anni di contributi versati, indipendentemente dall’età anagrafica. Sarebbe un ammorbidimento delle regole previdenziali attuali. Ma si tratta di una proposta realistica? Stando ai sondaggi, la coalizione che vincerebbe le elezioni sarebbe quella di centro-destra. Al suo interno, primeggerebbe Fratelli d’Italia, la cui leader Giorgia Meloni esordiva in questa campagna elettorale invitando gli alleati a lanciare solo proposte “credibili” e “sostenibili”. E il riferimento era, anzitutto, alle pensioni.
Quota 41 costerebbe svariati miliardi di euro all’anno, per non parlare delle pensioni minime a 1.000 euro, le quali inciderebbero sui conti pubblici – si stima – per non meno di 18 miliardi all’anno. Troppi, specie in un momento come questo, in cui le risorse scarseggiano e l’Italia è appesa agli aiuti europei del Recovery Fund e allo scudo anti-spread della BCE. E c’è un altro fattore che gioca contro questa seconda misura: portare gli assegni a livelli così relativamente alti disincentiverebbe i lavoratori a versare i contributi. In sostanza, sconquasserebbe il già malconcio sistema previdenziale italiano.
Linea Meloni su pensioni minime e quota 41
In caso di vittoria, Meloni ha già fatto intendere che di ingaggiare una battaglia con la Commissione europea per fare più debiti non ne ha alcuna intenzione. E certamente non lo farebbe mai e poi mai per il capitolo delle pensioni. C’è anche da dire che il prossimo governo nascerebbe non prima della fine di ottobre. Nei due mesi rimanenti, dovrà approvare la legge di Bilancio. Il tempo a disposizione per un ennesimo ritocco alle pensioni sarebbe obiettivamente quasi nullo. Questo non significa che nulla si farà sul tema. Probabile, ad esempio, che saranno rinnovate e potenziate le linee di flessibilità attraverso Opzione Donna e, soprattutto, Ape Social.
In altre parole, eviterebbero il ritorno alla legge Fornero coloro che svolgono lavori gravosi e che abbiano iniziato a lavorare in tenera età. La lista dei beneficiari sarebbe ampliata rispetto ad oggi, così da allargarne la platea. Interventi per qualche centinaio di milioni di euro all’anno, nulla che possa stravolgere i conti dell’INPS. Ipotesi come quota 41 e pensioni minime a 1.000 euro non appaiono realizzabili.