Tra i due problemi maggiori del sistema pensionistico figurano le pensioni minime e le particolari regole di calcolo delle pensioni contributive. Sono due problemi che colpiscono contemporaneamente coloro che hanno iniziato a versare contributi dopo il 1995. Per questo motivo il governo, nella legge di Bilancio, corre ai ripari, introducendo due interventi che cercano di mettere una pezza. Uno riguarda le pensioni contributive, le cui domande all’INPS spesso vengono respinte perché troppo basse; l’altro riguarda un aumento delle pensioni minime.
“Salve, volevo capire se è diventato reale l’obbligo di versare il TFR alla previdenza complementare. E se sì, volevo capire cosa ci guadagniamo davvero. Grazie.”
“Gentili esperti, cosa sapete riguardo all’aumento delle pensioni minime che il governo pare intenzionato a mettere in pratica nel 2025? Che importo dovremmo percepire di pensione minima tra rivalutazione e aumenti extra?”
Pensioni minime oltre 630 euro e grazie al TFR in pensione prima
L’aumento extra sulle pensioni minime introdotto nel 2024 verrà riproposto dal governo anche per il 2025. Ormai è chiaro l’indirizzo che ha preso l’esecutivo nella legge di Bilancio. In questo modo, il governo presta attenzione alle pensioni minime, che oltre alla solita indicizzazione al tasso di inflazione, dovrebbero salire di un ulteriore 2,7%. Si tratta dello stesso aumento extra che era stato concesso in precedenza per incrementare l’importo delle pensioni minime. Naturalmente cambiano le percentuali perché pare che l’inflazione dovrebbe attestarsi all’1% come tasso previsionale. Di conseguenza, l’aumento extra deciso dal governo farà salire le pensioni minime, che attualmente sono di 614,77 euro, a circa 631 euro.
Il TFR nei fondi pensione e la pensione di vecchiaia contributiva si prende più facilmente
Tornando alla questione del TFR, non è ancora chiaro se sarà introdotto l’obbligo di versare una parte del Trattamento di Fine Rapporto a un fondo pensione integrativo.
Il problema è noto. Per chi non ha versamenti antecedenti il primo gennaio 1996, la pensione di vecchiaia si può ottenere solo se, oltre ai 67 anni come età anagrafica e ai 20 anni di contributi, si raggiunge una pensione non inferiore all’assegno sociale, ovvero circa 534 euro al mese per il 2024. Chi non raggiunge questo importo non può andare in pensione e deve aspettare i 71 anni di età, perché una volta raggiunta quell’età anagrafica il vincolo di importo della pensione sparisce.
Sono davvero minimi i trattamenti contributivi
Per consentire ai lavoratori contributivi, che a causa di questo requisito aggiuntivo non possono andare in pensione di vecchiaia a 67 anni perché non raggiungono l’importo dell’assegno sociale, si potrebbe utilizzare quanto accantonato nei fondi pensione integrativi tramite il TFR.
Una situazione che può sembrare paradossale, ma non lo è. Infatti, molti lavoratori che rientrano completamente nel sistema contributivo si ritrovano con serie difficoltà a raggiungere pensioni più alte o almeno pari all’assegno sociale. Pensioni davvero minime, quindi. Perché le pensioni nel sistema contributivo non godono delle cifre aggiuntive tipiche di chi rientra nel sistema misto; parliamo di maggiorazioni sociali, integrazioni al trattamento minimo e così via.
Una misura questa che guarda più al futuro lontano che all’attualità. Infatti, il provvedimento dovrebbe obbligare i neoassunti al versamento di una quota del TFR in un fondo pensione integrativo, mentre per i vecchi assunti sarà facoltà di questi ultimi aderire alla novità. Con un meccanismo di silenzio-assenso che, in caso di mancata scelta da parte del lavoratore, automaticamente applicherà il prelievo del TFR e il suo confluire nel fondo pensione.