Ci sono anche le pensioni minime al centro della riforma pensioni. Il governo è al lavoro anche per garantire ai millenials un assegno dignitoso che non tenga conto solo dei pochi contributi versati.
I lavoratori precari di oggi saranno infatti pensionati fa fame domani. La riforma pensioni del 1995 non garantisce infatti il trattamento con integrazione al minimo (oggi 517,07 al mese) per chi può far valere versamenti solo nel sistema contributivo. In pratica tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 in avanti.
Pensioni minime per lavoratori precari
Uno dei temi che non possono essere trascurati né dai politici né dalle forze sociali è sicuramente quello dei giovani lavoratori, alle prese oggi con lavori precari, spesso discontinui e mal retribuiti. Sono cambiati i tempi, è vero, ma per costoro non vi saranno garanzie al momento della pensione perché il sistema contributivo sarà estremamente penalizzante. In assenza di una garanzia, di un minimo vitale, l’Italia rischia di partorire fra qualche decina d’anni un esercito di pensionati che farà la fame.
Pensione minime e di garanzia per i giovani lavoratori
A tal proposito si sta studiando l’istituzione di una forma di pensione minima garantita. Il Ministro Nunzia Catalfo e i sindacati ritengono doveroso tutelare questa categoria di lavoratori con un trattamento minimo vitale. Allo scopo si sta rivalutando l’idea avanzata nel 2016 dall’ex ministro al Lavoro Giuliano Poletti che aveva proposto una pensione di garanzia da determinarsi innalzando la quota di cumulabilità dell’assegno sociale con la pensione per i soggetti nel contributivo puro.
“Per noi è importante che la soluzione individuata tenga insieme una risposta ai giovani con un’equità complessiva del sistema: un risultato difficile da raggiungere ma sicuramente possibile se si lavora a testa bassa”
fanno sapere i sindacati che si stanno confrontando col governo.
Pensione minima in base al reddito
Più nel dettaglio si cerca di istituire un assegno di garanzia di importo compreso fra 650 e 780 euro mensili per coloro che andranno in pensione di vecchiaia con almeno 20 anni di contributi. La riforma dovrà ricalcare il recente intervento attuato dal governo col Dl di Agosto per le pensioni di invalidità totali. L’assegno è stato innalzato a 651 euro mensili a condizione che non si superino certi limiti di reddito. Pltre al fatto che si possieda un grado di invalidità al 100%. Per le pensioni minime si andrebbe a considerare, a differenza che per quelle di invalidità, gli anni di contributi versati e il possesso di determinati requisiti di reddito.
Integrazione al minimo con fondi Inps
Si tratta quindi di ripristinare l’integrazione al minimo – dicono gli esperti – ma non più tramite un intervento assistenziale da parte dello Stato. Bensì attingendo da un fondo previdenziale integrativo pubblico gestito dall’Inps a cui parteciperebbero tutti i lavoratori. L’idea, avanzata da tempo dal presidente dell’Istituto Pasquale Tridico, non piace ai sindacati ma è molto caldeggiata dalle forze politiche al governo che vedono con favore il ritorno dell’Inps al centro del sistema pensionistico integrativo.