Per come stanno attualmente le cose, il futuro delle pensioni è tutt’altro che roseo. Non che lo sia mai stato in tempi recenti ma, al momento, la mancata riforma del sistema, la crisi di governo e tutti gli elementi di destabilizzazione subentrati nel dibattito per il superamento (definitivo) della Legge Fornero hanno creato un mix esplosivo. E le promesse elettorali, in questo senso, generano sentimenti contrastanti. Da un lato, si attende la fatidica misura risolutiva, in grado di mandare in soffitta un provvedimento che non ha praticamente mai convinto nessuno, mentre dall’altro si guarda con non troppa fiducia allo svolgersi degli eventi.
Pensioni, la proposta (che torna)
Al momento, e sarà così fino a fine anno, vige la provvisoria Quota 102, parente dell’ormai conclusa Quota 100. A fronte di condizioni pensionistiche che si manifestano (solo in termini contributivi) con 42 anni e 10 mesi di versamenti per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, la scorciata di Quota 41 sarebbe minima: il tetto scenderebbe infatti a 41 anni per chiunque, di fatto equiparando le pensioni a quanto già previsto per i lavoratori precoci, quindi coloro che hanno maturato almeno 12 mesi di contributi prima del compimento dei 19 anni di età, figuranti nelle cosiddette categorie fragili. Il problema di Quota 41, come per molti altri provvedimenti, non è legato tanto al merito della riforma quanto agli strumenti a disposizione. Per farla semplice, ai soldi necessari per portarla a compimento. Risorse che, al momento, sembrano fuori budget. Qualcosa che, a quanto pare, anche al Carroccio era noto, visto che la sola proposta presentata prevedeva una penalizzazione per i “precoci volontari”.
Il difetto di Quota 41
Il beneplacito sul concetto di “41 anni di lavoro sono abbastanza” c’è. Come detto, però, servono le risorse. Consentire a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi versati richiederebbe circa 12 miliardi di euro in più ogni anno. Cifra poco sostenibile se si pensa che, ogni anno, l’Italia spende 300 miliardi per le pensioni, coprendo il 16,7% del Pil nazionale. Spesa peraltro destinata a salire. Del resto, non è un mistero che in Italia vengano liquidate quasi più pensioni che soldi per gli stipendi. Per quanto riguarda Quota 41, una “scappatoia” era stata proposta: ossia accordare tale trattamento solo in virtù dell’accettazione di un calcolo interamente basato sul sistema contributivo, inclusi gli anni di versamenti precedenti al 1996. Cosa che, tendenzialmente, porterebbe a una sforbiciata sull’assegno. Praticamente un labirinto di specchi.