Pensioni pari al 74% dell’ultimo stipendio o reddito? Ecco i calcoli da fare

Come funziona il calcolo della pensione e che differenze ci sono tra ultimo stipendio e prima pensione percepita, ecco uno studio di ENASC-UNSIC.
2 mesi fa
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pensione
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Che genere di pensione prenderà un lavoratore una volta andato in pensione? Il suo tenore di vita e il suo reddito rispetto agli anni da lavoratore come cambiano? Una domanda questa che sicuramente ogni lavoratore si pone quando pensa al suo futuro da pensionato e al calcolo della pensione.
Naturalmente per forza di cose la pensione non potrà mai essere più alta delle ultime retribuzioni. Considerando aumenti di livello, scatti di anzianità e premi che i dipendenti più anziani spesso ottengono sul finire della loro carriera, è improbabile che ci sia chi prende una pensione più alta o pari all’ultimo reddito da lavoro.

Tra l’altro il sistema contributivo su questo penalizza ulteriormente.
Per capire tutto ciò le analisi tecniche in giro per il Web sono tante. Ci viene in aiuto uno studio di di ENASC-UNSIC, Il Patronato ENASC (Ente Nazionale Assistenza Sociale ai Cittadini) e Associazione UNSIC (Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori ).

Pensioni pari al 74% dell’ultimo stipendio o reddito? Ecco i calcoli da fare

Un lavoro elaborato dalla Direzione Nazionale ENASC-UNSIC e pubblicato ieri 13 settembre parla di pensioni future e di calcoli sulla pensione futura rapportati ai redditi ed agli stipendi dei lavoratori. Un calcolo reso più facile dal sistema contributivo. Perché in passato quando prima della riforma Dini le pensioni venivano calcolate con il retributivo, ciò che contava erano le ultime buste paga. Ed alla luce del fatto che in diversi settori lavorativi tra scatti di carriera e anzianità, oppure tra salite di grado alla fine della carriera, lo stipendio degli ultimi anni di lavoro erano elevati, la pensione era altrettanto elevata. Avvicinandosi come alla media degli stipendi percepiti. In pratica, la pensione non perdeva potere di acquisto rispetto alle retribuzioni avute in vita. Ed il tenore di vita quindi era preservato.
Oggi non è più così.

E quindi tutto ciò che un pensionato prende di pensione è tutto ciò che il pensionato ha versato. Più versi più prendi. Ma ogni mese di lavoro per esempio il dipendente versa il 33% del suo stipendio. E anche al netto della rivalutazione annuale al tasso di inflazione e del passaggio del montante con i coefficienti, difficile arrivare ad una pensione pari allo stipendio.

Ecco alcuni dati che emergono dallo studio sul calcolo delle pensioni future

Nello studio fanno l’esempio di un lavoratore dipendente del settore privato che ha iniziato a lavorare a 25 anni. Se oggi ha compiuto 40 anni, questo dipendente dovrà guardare alla possibile sua pensione di vecchiaia a circa 69 anni (oggi l’età pensionabile è pari a 67 anni). Ma continuando a lavorare fino a quell’età supererà i 40 anni di contributi, ricevendo un trattamento pensionistico pari al 78% dell’ultimo stipendio percepito. Solo lavorando la bellezza di 4 anni in più riuscirete a detonare questo ammanco, aggiungendo, sempre secondo lo studio prima citato, circa 4.000 euro di stipendio.

Il sistema contributivo e quello retributivo e come cambiano le regole

Tra i tanti esempi che ci sono nell’analisi del patronato prima citato, si nota la differenza in termini di calcolo della pensione rispetto allo stipendio tra dipendenti e autonomi. Un lavoratore con Partita Iva infatti, con 18.000 euro di reddito annuo con 61 anni di età oggi, nel 2032 andrà in pensione prendendo solo il 31% del suo ultimo reddito. Una lavoratrice di 57 anni oggi dovrebbe arrivare all’età pensionabile di 67,7 mesi. Solo a fronte di quasi 40 anni di carriera riuscirebbe a prendere un trattamento pari a circa il 78% del suo ultimo reddito. Ma solo se ricade nel sistema retributivo. Se per sua scelta o per regole diverse deve essere assoggettata al calcolo completamente retributivo, la perdita in base a ciò che si legge nello studio, sarebbe di oltre 600 euro al mese.

Il calcolo delle pensioni, più si versa meno la differenza tra ultimo stipendio e prima pensione

Evidente che più contributi si versano più pensione si prende e meno è la differenza tra ultimi redditi e assegni previdenziali. Sono le già citate regole del sistema contributivo a prevederlo. E questo vale anche nel settore lavorativo pubblico, dove pare che solo con oltre 41 anni di contributi la propria pensione sarà in percentuale, pari ad oltre il 70% dell’ultima retribuzione. Infatti calando i contributi e quindi gli anni di servizio aumenta il gap tra stipendio e pensione. Con circa 30 anni di versamenti la pensione sarebbe pari a circa il 48% dell’ultima retribuzione.

Dallo studio si evince che salendo il livello del lavoro svolto la differenza tra pensione e ultimi redditi si assottiglia. I manager con oltre 42 anni di contributi arriverebbero a prendere oltre l’82% dell’ultima pensione e superando i 44 anni di contributi la percentuale supera il 90%.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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