Le pensioni sono legate anche al Pil. Una variazione negativa della crescita economica impatterà infatti sugli assegni dei lavoratori che andranno in pensione nei prossimi anni.
Una mazzata. Non c’è dubbio, infatti, che quest’anno il Pil subirà una contrazione straordinaria a causa della pandemia e questo inciderà sulla rivalutazione dei contributi versati nelle casse pensionistiche interessando migliaia di lavoratori che andranno in pensione.
La rivalutazione del montante contributivo
A regolare l’andamento degli assegni delle pensioni è una vecchia legge dello Stato, quella varata nel 1995 dall’allora capo del governo Lamberto Dini che lega la rivalutazione del montante contributivo (versato dal 1996 in avanti) all’andamento del Pil.
Il coefficiente di rivalutazione
In fase di liquidazione della pensione, l’Inps o altro ente di previdenza, applica un coefficiente al montante, detto anche coefficiente di trasformazione, calcolato appunto sulla variazione media della crescita economica del Paese. Per il 2019-2020 questo coefficiente è pari al 5,60% per chi decide di lasciare il lavoro a 67 anni, cioè al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia (il valore scende al decrescere dell’età di pensionamento). Dal 2012, viene aggiornato ogni tre anni e il prossimo aggiornamento è previsto a partire dal prossimo anno quando verrà recepita anche la variazione del Pil negativo.
Il sistema di calcolo contributivo
Ma, al di là degli aspetti tecnici, quello che è bene sapere è che l’assegno pensionistico che verrà liquidato nei prossimi anni sarà inferiore anche per un altro motivo, quello del sistema di calcolo che ormai vede quasi tutte le pensioni future liquidabili col sistema contributivo puro o misto. In pratica, la parte di pensione calcolata sui i contributi versati dal 1996 in poi sarà inferiore rispetto allo stesso periodo calcolato prima del 1996, cioè nel sistema retributivo. Il risultato finale è che l’assegno sarà eroso, non solo da un sistema di calcolo più penalizzante, ma anche dalla rivalutazione decrescente del montante per la parte contributiva dei versamenti. In pratica è come se un libretto di risparmio non fruttasse più interessi e, anzi, il capitale rischiasse di svalutarsi. E più passa il tempo, maggiori saranno i lavoratori coinvolti con assegni sempre più bassi.
Il taglio delle pensioni
Ma torniamo alla rivalutazione del montante e ai coefficienti di trasformazione. Posto che la crescita dei Pil italiano sarà molto negativa e, nelle migliori delle ipotesi, anemica per i prossimi anni, a quanto potrebbe ammontare la riduzione dell’assegno in futuro? Secondo le simulazioni degli esperti, la perdita di rivalutazione del montante nella parte contributiva potrebbe sfiorare il 2,5%, con una perdita potenziale del 1,6% rispetto a quest’anno su una pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi versati prima del 1996. Fatto 1.000 l’importo dell’assegno, si tratterebbe di 16 euro al mese. Ma è evidente che, per effetto di quanto spiegato sopra, il passare del tempo non gioca a favore dei futuri pensionati che potranno solo sognare gli assegni percepiti dai loro genitori. A meno che il legislatore non intervenga per salvaguardare gli interessi dei lavoratori.