Le pensioni pubbliche saranno sempre più magre e povere. Soprattutto per i giovani lavoratori che dovranno fare i conti con un sistema di calcolo della rendita interamente contributivo. E, soprattutto, con una bassa crescita dei salari. In questo contesto, non certo casuale, si sono fatti avanti come avvoltoi banche e assicurazioni che promettono soluzioni ideali, attraverso una previdenza complementare sicura.
Insomma, ci stanno facendo vedere il bicchiere mezzo vuoto per farci spendere soldi in un periodo storico dove il denaro scarseggia sempre più nelle tasche dei lavoratori.
Pensioni più povere, ma alla larga dai fondi
Detto questo, la domanda che viene spontanea a tutti i giovani è: “quando andremo in pensione e con quanto”? Difficile azzardare previsioni di quello che succederà fra 20, 30 o 40 anni. E su questo aspetto bisogna essere coerenti perché già adesso nessuno sa quello che succederà da un anno con l’altro, in un mondo dove tutto cambia più velocemente che in passato. Figuriamoci fra decenni. Cosa che non possono sapere nemmeno i gestori dei fondi pensione che, però, promettono mari e monti snocciolando dati confortanti e previsioni da bollettino meteo sempre sereno anche quando vi sono nubi all’orizzonte.
E qui casca l’asino, cioè i lavoratori, che intimoriti e preoccupati dalle notizie quotidiane che i media diffondo ad arte con l’appoggio dei sindacati (siedono nei consigli di amministrazione dei fondi pensione), sottoscrivono i fondi pensione. Ignari del fatto che il loro Tfr o Tfs sparirà per sempre dalla loro disponibilità. E i datori di lavoro, dal canto loro, sono incentivati a fare in modo che questo travaso di denaro avvenga con il metodo del silenzio assenso.
A questo punto viene da domandarsi perché tutti spingono nella stessa direzione e se per un giovane lavoratore si tratta veramente della scelta giusta. La risposta è certamente quella di fare esattamente il contrario di ciò che governi, sindacati e poteri economici dicono. Perché la pubblicità martellante non è mai nell’interesse del lavoratore. O meglio non lo è più che in quello dei gestori dei fondi pensione che utilizzano il denaro dei lavoratori per speculare sui mercati finanziari. Come dimostrato dalla crisi dei fondi pensione dell’autunno 2022 in Gran Bretagna. Una lezione per tutti (già imboscata dai media) da non dimenticare.
Il Tfr resta una garanzia per i giovani lavoratori
Cosa fare allora? Premesso che la previdenza complementare non è un obbligo e nemmeno un dovere, la prima cosa da fare è quella di rendersi conto che il lavoro oggi, come fonte di reddito, fatica sempre più a garantire una vita dignitosa in Italia. Soprattutto se si ha famiglia. Inflazione, salari bassi e precarietà sono diventati ormai fattori di peso nella nostra società.
Per i giovani lavoratori affidare quel poco che viene accantonato con il Tfr o Tfs ad avidi gestori di fondi pensione, come dice Beppe Scienza, non è la soluzione ideale. Non solo per i rischi che si corrono, ma soprattutto per il fatto che si perde il controllo e la disponibilità del proprio risparmio. Non solo: il Tfr maturato e lasciato in azienda permette al datore di lavoro di avere maggiori disponibilità finanziarie. E anche di fare investimenti garantendo, a maggior ragione, il futuro dei propri dipendenti.
Riguardo alla previdenza integrativa, la soluzione migliore è quella di investire la liquidazione del Tfr rivalutato a fine carriera in titoli di Stato italiani, in Btp o altri strumenti finanziari equivalenti. Si otterrà sempre e comunque una rendita periodica integrativa.
Riassumendo…
- Le pensioni per i giovani lavoratori saranno sempre più magre.
- Inutile puntare sui fondi pensione se i salari restano bassi.
- Meglio tenersi stretti il Tfr per farsi una rendita integrativa.