In Italia si sa, il vitalizio è sacro. Oggi non esiste più, ci sono le pensioni, ma lo scandaloso trattamento pensionistico riservato agli onorevoli è rimasto nella memoria degli italiani e quando se ne parla suscita ancora indignazione.
Facciamo chiarezza sulla questione e su quanto sta accadendo in Parlamento. L’organo che per eccellenza fa le leggi, ma le cui funzioni sono andate gradualmente scemando a vantaggio del potere esecutivo. Al punto che Camera e Senato sono visti ormai come “passacarte” di Palazzo Chigi.
Le pensioni dei parlamentari
In questi giorni incalza il toto nomine per l’elezione del Presidente della Repubblica nel 2022. Draghi sarebbe l’uomo giusto che potrebbe accontentare tutti come massima figura istituzionale. Ma toglierlo da Palazzo Chigi significherebbe mandare il Paese a elezioni anticipate.
Cosa che non consentirebbe a molti deputati e senatori di maturare il requisito minimo per la pensione che spetta dopo 4 anni e 6 mesi e 1 giorno di mandato. Se venissero sciolte le Camere per indire elezioni, infatti, ci si fermerebbe a 6 mesi dal traguardo.
Il problema investe l’intero Parlamento e il funzionamento delle istituzioni. Perché se si sposta Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale, difficilmente si riuscirebbe a formare un nuovo governo, non vi è convergenza dei partiti su un nome da mandare al Colle.
Spariscono i vitalizi, ma restano i privilegi
Come noto, le pensioni dei parlamentari italiani sono le più alte d’Europa. L’assegno si aggira mediamente intorno ai 1.500 euro mensili lordi. Una cifra enorme se si pensa che questa pensione si ottiene dopo soli 4 anni e mezzo di mandato.
Il monte contributivo versato, a fronte di stipendi da capogiro (10.400 euro al mese), si aggira intorno ai 50 mila euro. Niente di regalato, ben inteso, perché le pensioni dei parlamentari sono calcolate come per la generalità dei lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione.
Ma il privilegio della casta sta nell’età pensionabile.