La fine del 2011 si avvicina e mancano meno di tre mesi al nuovo anno. Eppure, non è dato ancora sapere che fine faranno milioni di lavoratori dopo quota 100. L’unico dato ad oggi certo è che il governo Draghi non intende rinnovare la sperimentazione triennale, in quanto considerata questa misura costosa e iniqua per il sistema delle pensioni in Italia.
Quota 100 consente dall’aprile del 2019 ai lavoratori con almeno 62 anni di età e 38 di contributi di andare in pensione. Dall’1 gennaio prossimo, in assenza di misure correttive un lavoratore rischia di ritrovarsi dinnanzi a uno “scalone” fino a 5 anni.
A parole, tutti i partiti ritengono che il legislatore debba intervenire per evitare lo scalone. Ma sinora sono rimaste per l’appunto solo promesse e parole vuote, dato che a poche settimane dalla fine di quota 100, nulla si sa ancora sul destino dei lavoratori over 60. In Parlamento esistono numerose proposte di legge, mentre altrettante numerose sono le proposte ventilate da esperti in materia, tra cui il presidente INPS, Pasquale Tridico, e il suo predecessore Tito Boeri.
Futuro delle pensioni dopo quota 100
La Lega, che di quota 100 è stata la madre, opterebbe per quota 102: come oggi, salvo che per andare in pensione servirebbero almeno 64 anni di età e 38 di contributi. Idea da scartare, se è vero che Palazzo Chigi vorrebbe proprio cestinare questo genere di uscite anticipate dal lavoro. Ed ecco spuntare l’ipotesi molto più concreta e realistica di un Ape social rafforzata. In pratica, si potrebbe andare in pensione con almeno 36 anni di contributi e 63 anni di età, purché si tratti di lavori gravosi.
Sì, ma quali? Il piano dell’esecutivo sarebbe di inserire nell’elenco un numero maggiori di professioni.
Contributivo puro a 64 anni?
E c’è l’ipotesi di quota 41: tutti in pensione a qualsiasi età, purché muniti di 41 anni di contributi. Anche questa ipotesi andrebbe scartata, in quanto costosa. E di fatti, trova accoglienza freddissima negli ambienti del governo. E se consentissimo ai lavoratori di andare in pensione interamente con il metodo contributivo a 64 anni e con 20 di contributi? Già la legge lo consente a quanti abbiano iniziato a lavorare dal 1996, purché l’assegno mensile così determinato risulti non inferiore a 2,8 volte l’assegno minimo. Troppo ristretta la platea dei beneficiari. L’ipotesi in campo sarebbe di allargarla anche a chi abbia versato contributi prima del 1996 e il cui assegno previdenziale risulti superiore a un certo importo, magari nell’ordine solo di 1.000 euro al mese. In cambio sarebbero fissati 36 anni di contribuzione minima.
Ennesima riforma pensioni last minute
La proposta di Tridico è la seguente: in pensione dai 63 anni, ma percependo fino ai 67 anni solo la quota dell’assegno maturata con il calcolo contributivo. Il resto lo si percepirebbe al raggiungimento dell’età pensionabile. Infine, l’ipotesi di consentire a tutti di andare in pensione sin dai 62-63 anni, ma accettando una penalizzazione pari a non meno dell’1,5% per ogni anno in meno rispetto ai 67 dell’età pensionabile ufficiale. In realtà, va detto che già oggi con il calcolo contributivo la penalizzazione esiste attraverso i coefficienti di trasformazione. Ad ogni modo, sarebbe un ulteriore disincentivo a uscire troppo in anticipo dal mercato del lavoro.
Il problema è che quasi certamente anche la prossima misura sarà non strutturale, transitoria e studiata all’ultimo momento per evitare il ritorno alla legge Fornero.