Pensioni: una riforma strutturale non è più possibile

Perché una riforma pensioni strutturale che eviti la Fornero non sarà facile da attuare. Il problema demografico irreversibile alla base di ogni decisione politica.
2 anni fa
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Il governo Meloni ha presentato la mini riforma delle pensioni per il 2023. Oltre alla proroga di Opzione Donna e Ape Sociale, si introduce Quota 103 per 12 mesi come possibilità di uscita anticipata a 61 anni di età, ma con almeno 41 di contributi.

I media hanno dato risalto alla notizia facendo apparire la novità come la soluzione ideale per evitare lo scalone con le regole Fornero. Ma non è così perché poche migliaia di lavoratori potranno accedere a Quota 103. Di fatto l’incubo Fornero torna dirompente sulla scena.

La riforma impossibile delle pensioni

Ma perché non si fa una riforma vera e strutturale delle pensioni come chiedono tutti? Perché si continua a rinviare prendendo in giro i lavoratori? Prima il governo Conte, poi Draghi e adesso Meloni. Da quando è stata fatta la riforma Monti-Fornero si sono solo attuate deroghe al sistema incardinato e imposto dall’Europa e dai mercati finanziari.

Per comprendere il motivo per il quale non si è fatta una vera riforma pensioni e probabilmente non si farà per i prossimi 10 anni, bisogna tornare indietro al 2011 e gettare un occhio sul quadro drammatico del problema demografico italiano.

L’Italia non fa più figli. Con un record negativo di nascite (399 mila) nel 2021, la popolazione italiana è destinata a contrarsi notevolmente nei prossimi anni. Oltre tutto aumenta l’invecchiamento, il che non è male, ma sarà sempre più difficile sostenere gli anziani se alla base non c’è sempre meno gente che lavora. Per dirla con le parole del presidente dell’Inps Pasquale Tridico,

“Il sistema pensionistico in un Paese con 60 milioni di abitanti non si può reggere, nel lungo periodo, con sole 23 milioni di persone che lavorano”.

Il problema demografico italiano

A rincarare la dose arriva anche l’Istat. Di fronte al progressivo impoverimento demografico del Paese, sarà impossibile sostenere i costi del welfare italiano in futuro.

Da un lato aumentano le prestazioni a carico dell’Inps, in particolare le pensioni, dall’altro diminuiscono i contributori, cioè le persone che lavorano. Dice Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat,

Solo per effetto del cambiamento demografico, della composizione per età della popolazione, del numero di abitanti il Pil dai 1.800 miliardi di oggi scenderebbe di 500 miliardi. Quindi la torta si riduce di un terzo nel 2070.

Oggi in Italia –secondo le rilevazioni ufficiali – ci sono 800 mila persone con almeno 90 anni. Nel 2050 ci saranno, invece, 1,7 milioni di persone con almeno novant’anni. Nel 2070, 2,2 milioni di persone con almeno 90 anni. E di queste 145mila saranno ultracentenari (oggi sono 20mila).

Facile intuire che di questo passo l’Italia fra 50 anni avrà una popolazione di 48 milioni di anime più che altro anziane. Come possibile oggi riformare le pensioni senza tagliarle? Ecco perché Quota 103 è poca cosa rispetto a quanto atteso e perché non ci sarà da aspettarsi nulla di buono per i prossimi anni. E non è una questione di colore politico.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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