Pensioni: si paga di più per prendere di meno. Come lo Stato taglia le rendite nel tempo

Se si gode la pensione per meno tempo versando gli stessi contributi di dieci anni fa si perde. Come lo Stato frega i lavoratori.
2 anni fa
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La riforma Fornero ha dato una vera e propria mazzata alle pensioni. Allungare l’età pensionabile collegandola alla speranza di vita è stato un grosso errore. Lo stiamo pagando tutti con sacrifici al lavoro e rendite più magre da poter spendere.

Un errore voluto, ben inteso, che il Parlamento ha votato a maggioranza nel 2011 dando piena fiducia al Governo Monti sulla famosa riforma pensioni lacrime e sangue. Ne è derivato un furto legalizzato dei contributi pensione di cui pochi hanno capito il vero funzionamento.

Troppi anni di contributi e pochi di pensione

Ma vediamo bene come funziona la fregatura. Per capirlo bisogna partire dalla speranza di vita che l’allora ministro al Welfare Elsa Fornero ha agganciato all’età pensionabile. In pratica se si allunga la vita dei lavoratori, si allontana anche quella della pensione. Ma c’è un difetto: se la speranza di vita diminuisce l’età pensionabile non cala.

E questo è il primo tranello che frega un po’ tutti. La seconda trappola, invece, è prettamente contabile. Posto che la speranza di vita è oggi in media di 82 anni, andando in pensione a 67 di età si godrebbe la rendita solo per 15 anni.

Fino al 2011 si andava, invece, in pensione a 60 anni per le donne e 65 per gli uomini con una speranza di vita che era di poco inferiore agli 82 anni attuali. Le donne godevano della rendita per più tempo rispetto agli uomini, ma nel complesso era più lunga per tutti.

Ne deriva che oggi il periodo di godimento della rendita per uomini e donne è decisamente inferiore rispetto a 10 anni fa. I contributi versati sono però gli stessi. Quindi, risultano eccessivi rispetto a quanto torna indietro sotto forma di rendita.

Diminuisce la speranza di vita e le rendite si abbassano

Un esempio chiarirà meglio questo concetto basilare. Immaginiamo un lavoratore che ha iniziato a lavorare nel 1996 e che ha versato contributi pensione per circa 7 mila euro all’anno per 30 anni raggiungendo un montante complessivo pari a 210 mila euro.

La pensione di vecchiaia che otterrà a 67 anni, dopo aver applicato il relativo coefficiente di trasformazione, sarà di 11.700 euro. Affinché il lavoratore fruisca pienamente dei propri contributi versati sotto forma di rendita periodica dovrebbe campare fino a 85 anni. Ma, come abbiamo visto, l’età media è di 82. Quindi tre anni di contributi resteranno nelle casse dello Stato.

Come osservano gli esperti di Itinerari Previdenziali, affinché il sistema resti in equilibrio è necessario un giusto rapporto tra il periodo della vita lavorativa e la durata della pensione per evitare eccessive durate o scarsi periodi di vita attiva che penalizzerebbero i lavoratori che, oggi, con i loro contributi pensioni (giovani in testa) consentono il pagamento delle rendite all’attuale generazione di pensionati.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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