Andare in pensione in anticipo è un sogno che ogni lavoratore coltiva. L’arrivo della tanto agognata pensione porta sicuramente soddisfazione, ma anticipare il momento del ritiro dal lavoro può comportare delle controindicazioni. Anzi, accade sempre così, poiché ogni pensione anticipata comporta un “prezzo” da pagare.
Questo vale per tutte le misure, non solo per quelle che prevedono penalizzazioni evidenti sull’importo dell’assegno. Tuttavia, i calcoli da fare sono semplici e dimostrano come anche il semplice differimento di un anno nell’uscita dal mondo del lavoro possa fare una notevole differenza.
Pensione subito o conviene rimandare? Un solo anno può cambiare tutto
Cominciamo con l’analizzare cosa accade a chi sceglie di anticipare la pensione sfruttando una delle tante misure che prevedono riduzioni dell’assegno. Prendiamo ad esempio la quota 103: chi va in pensione con questa opzione subisce tre diverse penalizzazioni. Due di queste decadono al raggiungimento dei 67 anni, mentre una persiste per tutta la vita del pensionato.
La pensione calcolata con quota 103 non può superare, al lordo, quattro volte il trattamento minimo. Questo significa che, se un lavoratore va in pensione a 62 anni e avrebbe dovuto ricevere un assegno lordo di 3.000 euro al mese, dovrà accontentarsi di circa 2.390 euro mensili, fino a quando non compirà 67 anni, momento in cui il ricalcolo sarà completo. Inoltre, fino a 67 anni, il pensionato con quota 103 non potrà svolgere alcuna attività lavorativa, ad eccezione di quella autonoma occasionale, fino a un massimo di 5.000 euro di reddito annuo.
Infine, la pensione erogata con quota 103 viene calcolata interamente con il sistema contributivo, comportando riduzioni di oltre il 30% per chi avrebbe diritto al calcolo retributivo fino al 2011 (ovvero chi ha accumulato almeno 18 anni di contributi prima del 1996).
Opzione donna e Ape sociale: tagli e penalizzazioni
Le lavoratrici che optano per il pensionamento con opzione donna subiscono la stessa penalizzazione legata al ricalcolo contributivo.
Anche l’Ape sociale, che consente il pensionamento a partire da 63,5 anni, presenta delle penalizzazioni. Fortunatamente, queste sono a scadenza, come lo è l’anticipo pensionistico. Si può rimanere titolari di Ape sociale fino a un massimo di 67 anni, percependo un assegno non superiore a 1.500 euro al mese, senza tredicesima, maggiorazioni, assegni familiari e senza indicizzazione.
Il calcolo della pensione è sempre penalizzante se si esce prima
Le riduzioni dell’assegno e le penalizzazioni sono una costante per chi va in pensione anticipatamente. Il sistema di calcolo delle pensioni, soprattutto quello contributivo, non concede sconti. Un lavoratore che lascia il lavoro a 64 anni interrompe i propri versamenti contributivi, rispetto a chi continua a lavorare fino a 67 anni.
Di conseguenza, chi lavora tre anni in più avrà una pensione più alta. Inoltre, bisogna considerare che il sistema contributivo prevede dei coefficienti di trasformazione che aumentano l’importo della pensione per chi esce dal lavoro a un’età più avanzata. Uscire più tardi, anche solo un anno dopo, permette quindi di ottenere una pensione più elevata. E indipendentemente dal fatto di aver versato ulteriori contributi per un anno.
Le nuove ipotesi di riforma delle pensioni non offrono soluzioni migliori
Negli ultimi mesi, si è discusso molto di nuove misure pensionistiche e di una possibile riforma del sistema. Si parla di soluzioni che potrebbero consentire il pensionamento anticipato ai lavoratori, ma va detto che tutte le proposte prevedono penalizzazioni.
Ad esempio, la pensione flessibile, proposta dal CNEL per un’età compresa tra i 64 e i 72 anni, prevede tagli lineari del 3% o del 3,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni.
Queste ulteriori penalizzazioni si aggiungono a quelle già previste dai coefficienti di trasformazione. E dal minor numero di contributi versati, dovuti all’interruzione anticipata della carriera lavorativa.