Dopo 28 anni si assisterà ad una riforma stabile delle pensioni? Come canta Arisa con il brano Sincerità: “Sincerità, un elemento imprescindibile per una relazione stabile che punti all’eternità”. La sincerità è alla base di ogni rapporto stabile e duraturo. Un concetto che risulta valido in tutti gli ambiti, compresa la vita privata e i rapporti burocratici.
Lo sa bene il governo che ha il dovere di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale e mettere in campo delle misure volte a soddisfare le esigenze dei cittadini.
In attesa della riforma delle pensioni per allontanare lo spetto della Legge Fornero
Uno degli obiettivi dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni è di allontanare lo spettro della Legge Fornero. In base quest’ultima, ricordiamo, per andare in pensione i lavoratori devono avere un’età pari ad almeno 67 anni e maturato 20 anni di contributi. Requisiti elevati che rendono per molti l’accesso a tale trattamento una vera utopia.
Fanno eccezione i soggetti in possesso di determinati requisiti che possono uscire in anticipo dal mondo del lavoro. Entrando nei dettagli, in base alla legge Fornero possono beneficiare della pensione anticipata gli uomini con alle spalle almeno 42 anni e 10 mesi di contributi a prescindere dall’età. Tale soglia è pari a 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne. A rivoluzionare davvero il sistema delle pensioni, però, è stata la Riforma Dini che ha introdotto un nuovo modo per calcolare l’importo del trattamento pensionistico, ovvero il sistema contributivo.
Pensioni, svolta dopo 28 anni per una riforma stabile
A 28 anni di distanza dalla riforma Dini si potrebbe assistere ad una riforma stabile delle pensioni.
“flessibilità in uscita con coefficienti di trasformazione dai 63/64 ai 72 anni e, contemporaneamente, innalzare il requisito di anzianità per la pensione di vecchiaia proponendo – per l’accesso con 67 anni – almeno 25 anni di contribuzione effettiva o un importo di pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale. Andrebbero altresì razionalizzati i pensionamenti per lavori gravosi che non esistono in letteratura medico-scientifica. Se ne avvantaggerebbero l’adeguatezza delle pensioni e, allo stesso tempo, si ridurrebbe la durata delle prestazioni che, nella più grande fase di invecchiamento della popolazione italiana, potrebbe mettere a rischio la sostenibilità del nostro sistema. Sistema che, ricordiamo, è basato su un forte patto intergenerazionale già eluso con l’enorme debito pubblico”.
In pratica, i lavoratori con un’età compresa tra 62 e 72 anni potrebbero andare in pensione purché in possesso di determinati requisiti. In particolare il requisito contributivo per andare in pensione registrerebbe un innalzamento da 20 a 25 anni di contributi. Si tratta comunque, è importante sottolineare, di una mera ipotesi. Non è dato sapere se l’esecutivo deciderà di prenderla in considerazione o se resterà una semplice proposta.