C’era una volta il Tfr, ossia il trattamento di fine rapporto. Quel tesoretto che, una volta terminata l’attività lavorativa, poteva servire per sistemare i conti di famiglia, per aiutare i figli negli studi o per comprare casa.
Ebbene questo tesoretto sta per essere scippato dalla finanza. Il Tfr, già predestinato a ingrassare i gestori dei fondi d’investimento, finirà inevitabilmente per rafforzare la posizione di banchieri e finanzieri. Con il via libera dei sindacati.
Tfr ai fondi col silenzio assenso
Sembra infatti che il governo voglia autorizzare la destinazione del Tfr ai fondi, non già più su base esclusivamente volontaria, ma con il silenzio assenso.
Secondo indiscrezioni, il premier Draghi avrebbe aperto alla possibilità di prevedere un nuovo periodo di silenzio-assenso di 6 mesi per scegliere la destinazione del proprio Tfr. Con la scusa che il Tfr in futuro debba essere sempre più impiegato per garantire la pensione ai giovani.
Insomma, un altro passo avanti per riformare il sistema previdenziale, senza che banche e assicurazioni non ci mettano lo zampino. Con uno Stato che appare sempre più debole e inerme nel trovare una quadra per garantire le pensioni future dei giovani lavoratori.
La tassazione dei fondi
E la contropartita per lo Stato quale sarà? Già perché se dal Tfr ai fondi col silenzio assenso non ci guadagna qualcosa anche lo Stato, la riforma non si può fare. Ebbene il tornaconto sarà a livello fiscale.
Si parla così di revisione fiscale da inserire nel quadro della riforma pensioni. Il fisco pensa infatti di innalzare l’aliquota del prelievo sulla rendita del fondo finale al 23%. Oggi tale aliquota varia in un range compreso fra il 9 e il 15 per cento.
Quindi a guadagnare saranno, da un lato i gestori dei fondi pensione e dell’altro lo Stato. I primi con maggiori masse da gestire grazie alla destinazione dei Tfr che frutteranno laute commissioni. Il secondo col l’aumento del prelievo sulle rendite finanziarie. Indovinate chi ci perde?