Pensioni ancora al centro delle attenzioni del Ministero dell’Economia. Il bilancio Inps 2022 si è chiuso con un risultato di esercizio positivo di 7,14 miliardi di euro. In miglioramento di 10,85 miliardi rispetto all’anno precedente. Risultato fra entrate e uscite del principale istituto previdenziale italiano.
Le prestazioni erogate dall’Inps sono tuttavia in forte aumento – come fa notare il presidente uscente Pasquale Tridico – a quota 380,71 miliardi di euro (+5,8%) per via soprattutto delle pensioni anticipate di Quota 100 e, in misura minore, di Quota 102.
Pensione degli statali, il conto sale
A fronte delle maggiori entrate contributive, come dicevano, derivanti più che altro dall’aumento dell’occupazione, però, c’è da considerare anche l’incremento delle uscite. Per lo più appesantite dalle pensioni anticipate dei dipendenti pubblici e del personale militare. Fattori che, al momento, non preoccupano i conti dell’Inps – come anticipato da Tridico – ma mettono in preallarme la tenuta del bilancio istituzionale che rischia di finire col patrimonio in rosso fra qualche anno. Gli effetti di scellerate decisioni politiche, infatti, si manifesteranno col tempo.
La gestione pensionistica dei dipendenti pubblici è l’unica, all’interno di quelle gestite dall’Inps, a presentare un deficit negativo. Supera i 40 miliardi di euro, quasi tutti a carico dello Stato. Più in dettaglio, come fa notare uno studio di qualche tempo fa di Itinerari Previdenziali, già nel 2020, al netto dei 10,8 miliardi di contributo aggiuntivo a carico del datore di lavoro (lo Stato), il deficit ammontava a 36,427 miliardi di euro. Risultato fra entrate per 40,142 miliardi e uscite per 76,569 miliardi.
In altre parole, quasi l’intero deficit annuo dell’Inps è dovuto al peso di dipendenti pubblici e militari. Buco in parte compensato dagli avanzi di altre gestioni e con trasferimenti da parte dello Stato il cui pesante squilibrio gestionale risale ai tempi dell’Inpdap.
Il peso delle uscite anticipate
Ad aggravare la situazione è stata Quota 100 (in pensione a 62 anni), appannaggio soprattutto dei dipendenti pubblici. Dall’ultimo monitoraggio dell’Inps emerge che al 1 gennaio 2023 risultano versati 3,10 milioni di trattamenti contro i 3,08 del 2021, per un importo complessivo annuo di 83,3 miliardi di euro: il 5,2% in più rispetto all’anno precedente (79,2 miliardi). Ma il dato sorprendente è un altro.
Al 1 gennaio 2023 risulta che quasi il 59% delle pensioni sono di natura anticipata o di anzianità per i militari e, in particolare, derivanti da Quota 100. Queste prestazioni assorbono più della metà della spesa complessiva riservata alla gestione dei dipendenti pubblici che non potrà che peggiorare col passare del tempo. Pagare e rivalutare, infatti, prestazioni per un numero maggiore di anni rispetto alle regole ordinarie sarà deleterio.
Le pensioni di vecchiaia, al contrario, rappresentano solo il 14% del totale. Giusto per far capire l’ordine di grandezza e il rapporto che c’è nel pubblico impiego fra pensioni anticipate e ordinarie.
Pensioni dei dipendenti pubblici in aumento
Quel che deve preoccupare maggiormente, però, sono le previsioni future. Entro il 2033 andranno in pensione circa 1 milione di statali, un terzo della forza lavoro che dovrà essere anche rimpiazzata. Avendo il personale statale un’età media di oltre 50 anni è logico presupporre che si sarà un forte incremento delle domande di pensione, anche in assenza di deroghe alle vie ordinarie.
Alcune amministrazioni dovranno sostituire più di metà del personale in servizio, ma in valori assoluti le uscite più significative – secondo i calcoli – saranno per la scuola (463.257), la sanità (243.130) e gli enti locali (185.345).
Il tutto sarà accompagnato da una consistente rivalutazione degli assegni in pagamento, a causa dell’esplosione dell’inflazione, come abbiamo già assistito quest’anno. Una miscela esplosiva per i conti dell’Inps che, in assenza di un forte incremento del gettito contributivo (per impossibile) dovrà ricorrere a corposi trasferimenti finanziari statali.