Uno dei rilievi più significativi mossi in passato alle regole del Reddito di Cittadinanza riguardava il vincolo, ritenuto da molti discriminatorio, della residenza in Italia da almeno 10 anni per poter accedere al sussidio. Un limite considerato eccessivo da molte persone. Oggi, anche i giudici costituzionalisti sembrano cambiare orientamento, ammettendo che 10 anni sono troppi: per ottenere i sussidi 5 anni di residenza possono essere sufficienti.
Ma a cosa serve parlare ancora del Reddito di Cittadinanza, visto che la misura è cessata nel 2024? Tutto parte da un fatto ben preciso. Ciò che analizzeremo nasce da un ricorso presentato da alcuni cittadini romeni, a cui l’INPS aveva respinto la domanda proprio per il mancato rispetto del requisito dei 10 anni di residenza in Italia.
Anche se il tema riguarda una misura ormai superata, quanto emerso è assolutamente attuale, perché si riflette anche su chi oggi punta all’Assegno di Inclusione, che ha preso il posto del Reddito di Cittadinanza.
Per i sussidi, 5 anni in Italia bastano o no? Aggiornamento dalla Consulta
Per ottenere il Reddito di Cittadinanza, era davvero necessario avere almeno 10 anni di residenza in Italia? La risposta è sì, quel requisito era effettivamente previsto dalla normativa. Tuttavia, ora viene messo in discussione.
Il cosiddetto “requisito di pregressa residenza per il diritto a prestazioni non assistenziali” non deve più essere di 10 anni, ma della metà. E non è stata l’INPS o il Governo a stabilirlo, bensì la Corte di Giustizia Europea, con una sentenza del 29 luglio dello scorso anno. Secondo la Corte, bastano 5 anni per considerare stabile la presenza sul territorio di uno Stato membro dell’UE, indipendentemente dalla nazionalità del cittadino.
Sussidi e 5 anni di residenza: ecco la novità della Consulta
In base a questo principio, si va verso una piena equiparazione tra cittadini europei ed extraeuropei, senza discriminazioni. Quindi, per i sussidi, 5 anni di residenza bastano o no?
A rafforzare quanto stabilito dalla Corte UE, arriva ora anche la Corte Costituzionale italiana, che con la sentenza n. 31 del 20 marzo 2025 ha confermato l’orientamento. Parliamo dell’esito del ricorso presentato dai cittadini romeni di cui si parlava poco fa: a loro l’INPS aveva respinto la domanda di Reddito di Cittadinanza in quanto residenti in Italia da meno di 10 anni.
Ecco tre sentenze che riguardano la durata della permanenza in Italia
La questione è stata sollevata dalla Corte d’Appello di Milano, che ha messo in dubbio la costituzionalità del requisito dei 10 anni di residenza. Secondo la Corte, si tratta di una discriminazione evidente, poiché pretendere un decennio di residenza per accedere a una misura contro la povertà è eccessivo.
È vero che il requisito dei 10 anni si applica sia ai cittadini italiani che a quelli stranieri, ma, nel caso di prestazioni non esclusivamente assistenziali, come appunto il Reddito di Cittadinanza, tale vincolo risulta sproporzionato. Per le prestazioni puramente assistenziali, una durata così lunga può avere una sua logica, ma non nel caso di sussidi misti come quelli di integrazione al reddito.
L’orientamento della Corte d’Appello di Milano è stato quindi chiaro, e la Consulta lo ha confermato: 5 anni di residenza sono sufficienti per accedere a sussidi come il Reddito di Cittadinanza o l’Assegno di Inclusione.
Misure come queste, che rappresentano un mix tra supporto economico e politiche attive per il lavoro, non possono essere considerate del tutto assistenziali. E dunque non devono essere soggette a criteri troppo rigidi.
Se un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi fanno una prova. E quando a dirlo sono la Corte di Giustizia Europea, la Corte d’Appello di Milano e la Corte Costituzionale, il principio è chiaro. Ovvero: 5 anni di residenza in Italia sono oggi da considerare sufficienti per stabilire il diritto a questo tipo di misure.