La Federal Reserve ha aumentato i tassi di interesse dallo 0,25% al 5,50% in circa un anno e mezzo, portandoli al livello più alto da inizi anni Duemila. Una stretta monetaria vigorosa per reagire all’alta inflazione che si era scatenata tra il 2021 e il 2022 dopo la fase acuta della pandemia e che tuttora persiste sopra il target del 2%. Il mercato sconta un taglio dei tassi Fed entro un paio di mesi ed è probabilissimo che ciò accadrà. Segnali in tal senso sono arrivati dallo stesso governatore Jerome Powell.
Stati Uniti in piena occupazione
Ma siamo sicuri che sarà la scelta più giusta? A guardare le condizioni di salute dell’economia americana, tutto diremmo, fuorché abbia bisogno di essere sostenuta da tassi Fed più bassi. Il mercato del lavoro resta in piena occupazione. Il tasso di disoccupazione è del 3,7%, mentre all’inizio di febbraio il numero di coloro che hanno fatto richiesta di un sussidio per la perdita del lavoro sono diminuiti a 220 mila (-8 mila in una settimana), ai minimi da un mese. In tutto, sono 1,9 milioni (+30 mila).
Il dato resta molto basso, segno che le imprese continuano ad assumere e produrre, pur non ai massimi delle loro capacità. La produzione a gennaio è scesa dello 0,1% mensile e rimasta invariata su base annua. Gli impianti funzionano al 76,6% delle potenzialità, -1,6% rispetto alla media storica e ai minimi dal settembre del 2021, in era pandemica. Ciononostante, il PIL nel quarto trimestre dello scorso anno ha continuato a sorprendere positivamente, cresciuto del 3,3% su base annua. Nell’intero 2023, è aumentato del 2,5%.
Il PIL è sostenuto dai consumi delle famiglie, che costituiscono quasi il 70% dell’economia americana. C’è da dire che a gennaio le vendite al dettaglio sono scese dello 0,8% rispetto a dicembre e che nel quarto trimestre i consumi segnavano un rialzo nominale del 2,6%, inferiore all’inflazione.
Nessuna avvisaglia di crisi immobiliare
E se è vero che qui l’attenzione resta alta sul mercato immobiliare dopo i tragici fatti del 2008 con la crisi dei mutui subprime, segnali di vera stanchezza non ve ne sono. I prezzi delle case in media negli Stati Uniti continuano a salire. A novembre, segnavano un +0,3% annuale, seppure in calo al netto dell’inflazione. E il tasso medio dei mutui a 30 anni si è riportato sopra il 7%, un fatto che in prospettiva deprimerebbe la domanda di case. Allo stesso tempo, il rapporto tra prezzi e utili per l’indice S&P 500 resta altissimo, sopra 27 e ai massimi dalla primavera del 2021. Dunque, i tassi Fed alti non stanno deprimendo i corsi azionari e, in realtà, neppure i profitti delle aziende quotate.
Per non parlare dell’inflazione, scesa al 3,1% dal picco del 9% di due anni fa. Ma resta sopra il target del 2% fissato dalla banca centrale. Nel complesso, la bilancia penderebbe dalla parte di tassi Fed invariati. Perché mai tagliarli se l’economia resiste bene? Non si tratterebbe di sadismo, bensì di efficacia della politica monetaria. Accumulare più a lungo possibile munizioni da usare durante una crisi appare saggio. Nel frattempo, l’inflazione proseguirebbe la discesa e centrerebbe il target dell’istituto. Il rischio sarebbe di tagliare un po’ presto, rinfocolare un’economia che già va bene e assistere a una risalita dell’inflazione o alla sua persistenza sopra il 2%.
Taglio dei tassi Fed anche per ragioni politiche
Il punto è che sul taglio dei tassi Fed esistono ragioni anche più prettamente politiche. Questo è un anno elettorale negli Stati Uniti. Il presidente uscente Joe Biden è molto impopolare nei sondaggi, oltre che esplicitamente accusato di non essere nelle condizioni psicofisiche per permettersi un bis alla Casa Bianca.