L’America non salverà l’Europa dal caro bollette. Parola di Financial Times, secondo cui le esportazioni di petrolio e gas dagli USA verso il Vecchio Continente sarebbero già intorno ai massimi. La produzione di “shale” quest’anno dovrebbe salire mediamente di 500.000 barili al giorno, nel 2023 meno. Nel frattempo, l’Unione Europea metterà al bando il greggio russo, con il rischio che a fine anno il prezzo possa schizzare fino a 150 dollari al barile. Insomma, se stiamo un minimo rallegrandoci per la discesa del prezzo del carburante alla pompa, sappiate che si tratti di prendere una boccata d’aria prima di tornare con l’acqua alla gola.
Il caro bollette travolge l’Europa
Eppure alla Casa Bianca converrebbe aiutare gli alleati europei contro la crisi energetica che sta devastandone le economie. Più il caro bollette si farà sentire sui conti di famiglie e imprese, maggiore sarà la pressione sui governi per allentare le sanzioni contro la Russia. Il punto è che esistono limiti di mercato per le estrazioni di petrolio e gas. Le nuove trivellazioni sotto l’amministrazione Biden sono diminuite per via della regolamentazione ambientale più stringente. Inoltre, le compagnie sono restie a investire grossi capitali per aumentare l’offerta, temendo che i prezzi nel medio-lungo periodo ripieghino con la corsa mondiale al taglio delle emissioni di CO2.
Tuttavia, l’amministrazione Biden starebbe giocando una partita ben più grande di quella che riguarda la sola “guerra” alla Russia. L’anno scorso, la bilancia commerciale americana segnava un passivo di quasi 220 miliardi di dollari con la sola Unione Europea. Esporta troppo poco e importa troppo dal Vecchio Continente. La crisi energetica le sta già dando una mano a riequilibrare i saldi. Nei primi sette mesi di quest’anno, il deficit commerciale con l’UE è sceso da 126,4 a 111,7 miliardi (-13,2%). Non siamo ancora alla svolta, ma almeno l’inversione di tendenza s’intravede.
Cosa sta succedendo? I prezzi di petrolio e gas alle stelle stanno facendo esplodere le bollette delle imprese, i cui costi di produzione s’impennano. In molti casi, le attività sono costrette a sospendere la produzione, non riuscendo a scaricare gli aggravi sui prezzi finali. Ad esempio, oggi come oggi conviene fermare la siderurgia e importare l’acciaio dall’estero, ovvero da economie come Cina e USA. Praticamente, la crisi energetica sta trasformandosi in una grossa occasione storica per le imprese manifatturiere americane, le quali dopo decenni di scarsa competitività stanno potendo finalmente tenere testa alla concorrenza europea.
Petrolio e gas aiutano gli USA
La crisi energetica negli USA non si sta materializzando agli stessi livelli. Il greggio è rincarato anche lì, ma c’è da dire che il 60% della domanda è soddisfatto ormai dalle estrazioni locali. Buona parte dei maggiori esborsi di imprese e famiglie resta, quindi, in patria e alimenta il PIL e l’occupazione. Quanto al gas, i prezzi sono esplosi molto meno che in Europa, segnando un aumento annuo di circa il 60% e triplicando rispetto ai minimi toccati nel 2021. In Europa, siamo ormai a prezzi di 15-20 volte i livelli pre-crisi. Produrre negli USA è diventato più economico, ragione per cui più questa crisi energetica dura e più l’economia americana riguadagna competitività, chiaramente ai danni di quella europea.
Unico neo: il super dollaro. E’ diventato fortissimo, riuscendo a salire sopra la parità con l’euro. Ciò frena proprio la competitività del Made in USA, ma d’altra parte esso riflette la relativa forza dell’economia americana e, in questa fase, contribuisce a mitigare l’inflazione, per cui è ben accetto. Non illudiamoci. Petrolio e gas resteranno elevati, perché è quanto desiderino alcune delle principali forze del mercato globale, ovvero OPEC, USA e Russia.