Perché aumentare la cedolare secca al 26% sugli affitti brevi sarà un errore

La legge di Bilancio fissa al 26% la cedola secca sugli affitti brevi dal 21% attuale. Si tratta di un errore di valutazione del governo.
1 anno fa
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Cedolare secca al 26% sugli affitti brevi
Cedolare secca al 26% sugli affitti brevi © Licenza Creative Commons

Stangata in arrivo per i proprietari di seconde case collocate sul mercato degli affitti brevi. La cedolare secca salirà dall’anno prossimo dal 21% al 26%. Un aggravio in termini percentuali di quasi un quarto e che rischia di avere pesanti contraccolpi economici. Prima di procedere, dobbiamo spiegare cosa siano gli affitti brevi e cosa s’intenda per cedolare secca.

Cos’è la cedolare secca

Gli affitti brevi sono così definiti quando riguardano la locazione di un immobile a scopo residenziale per un periodo massimo di 30 giorni.

La cedolare secca fu introdotta dal quarto e ultimo governo Berlusconi nel 2010. Prevede un regime fiscale opzionale e alternativo a quello ordinario. In pratica, il proprietario di un immobile residenziale può decidere anno per anno di sottoporre i canoni all’aliquota forfetaria del 21% (10% per i canoni concordati nelle città ad alta intensità abitativa), anziché alle aliquote Irpef che vanno dal 23% al 43%, escluse le addizionali regionali e comunali.

In cambio, chi si avvale della cedolare secca non può rivalutare il canone di locazione all’inflazione. Questo regime è stato adottato a favore anche dei proprietari di case vacanza come i B&B. E questo per la semplice ragione che, stante la disciplina attuale, ciò non costituisce attività d’impresa fino a 4 abitazioni. La legge di Bilancio 2024 punta ad abbassare a due abitazioni il limite massimo oltre il quale si configura l’attività d’impresa, con annesso obbligo di apertura della partita IVA e di pagamento delle imposte.

Affitti brevi aiutano il turismo italiano

Già questa limitazione rischia di provocare danni al mercato del turismo italiano. E adesso arriva la cedolare secca al 26%. Formalmente, sarebbe persino corretto che su una “rendita” il proprietario paghi esattamente quanto previsto su altre forme di investimento finanziario come azioni, obbligazioni, fondi, ETF, ecc. Tuttavia, qui non stiamo considerando alcune peculiarità e l’impatto che la stangata potrà avere sull’economia nazionale.

In primis, la cedolare secca grava su redditi lordi. Se incasso 100 euro al giorno durante l’estate per l’affitto di un appartamento ai turisti, questi non sono il mio guadagno. Devo tenere presenti i costi di gestione, tra cui le utenze domestiche, la somministrazione di generi alimentari e bevande, eventuali collaborazioni per la consegna chiavi e la pulizia delle camere e, infine, le commissioni dovute alle piattaforme online come Airbnb per la pubblicizzazione dell’immobile.

Queste ultime incidono mediamente per il 20% della cifra concordata. Ciò significa che sui 100 euro incassati, una ventina vanno all’intermediario. Restano 80 euro, che continuano ad essere al lordo di tutti gli altri costi. Ma il proprietario è tenuto a versare al Fisco 21 euro e dall’anno prossimo 26 euro. A proposito, il Consiglio di stato ha bocciato il ricorso di Airbnb e confermato che le piattaforme web dovranno incassare e versare direttamente al Fisco l’imposta dovuta. Come potete capire, l’aumento della cedolare secca rischia di ridurre i margini di profitto già scarni per molti proprietari di case vacanza.

Centri storici a rischio abbandono

Il mercato degli affitti brevi mette a disposizione qualcosa come 2,5 milioni di posti letto, la metà del totale in Italia. Senza, gli alberghi non risulterebbero sufficienti ad ospitare i flussi turistici in continua crescita e ne approfitterebbero soltanto aumentando le tariffe per i pernottamenti. Il governo Meloni si sta facendo risucchiare dalle ragioni legittime e corporativistiche allo stesso tempo di Federalberghi. Non è punendo i proprietari di seconde case che si dà una mano all’economia. Al contrario. Il rischio sarebbe anche di vedere abbandonate decine o centinaia di migliaia di vecchi immobili, che specie nei centri cittadini hanno spesso una secca alternativa: l’incuria o la messa a reddito grazie agli affitti brevi.

Chi pensa che riducendo la disponibilità di immobili per gli affitti brevi aumentino le case per i residenti, si sbaglia. Una delle ragioni per cui i proprietari optano per i turisti, sta nel fatto che il rischio di affittare casa alle famiglie sia in Italia elevato. Se l’inquilino non paga, sfrattarlo è un’impresa. La tutela della proprietà resta un miraggio e possono passare anni prima di rientrare in possesso del proprio immobile acquistato o costruito con tanti sacrifici. Il mercato degli affitti brevi ha vivacizzato molti centri cittadini altrimenti decadenti e disabitati. Il vice-premier Antonio Tajani ha garantito che Forza Italia si confronterà con gli alleati del centro-destra per evitare la stangata sulla cedolare secca. E’ già una buona notizia. Non servono nuove tasse, tantomeno sulle già tartassate case.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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