Il quesito di un utente ci porta a ribadire l’importanza di conservare con ordine alcune ricevute per evitare di pagare più tasse:
Salve, ho ricevuto dalla ASL una cartella di pagamento per un ticket non pagato in pronto soccorso con codice bianco. Solo che nella missiva si fa riferimento ad una prestazione di nove anni senza altre indicazioni. Io non ricordo di essere andata in Pronto Soccorso. E se anche fosse dopo quasi dieci anni non avrei conservato nessuna ricevuta. È giusto che sia io a pagare dopo tutto questo tempo senza che neanche mi spieghino di cosa si tratta? E se fosse una mia omonima la debitrice?
Pagamenti arretrati, cartelle e onere della prova: spetta al debitore dimostrare di essere in regola
Possibile che una notifica di pagamento (non effettuato) possa arrivare dieci anni dopo l’avvenimento contestato? E se nella contestazione non vengono indicati prove a carico del debitore, è possibile non subire conseguenze negative?
Il quesito del lettore apre inevitabilmente ad una questione rilevantissima quando si tratta di debiti.
L’art. 1218 del codice civile, infatti, parla di “Responsabilità del debitore” quando stabilisce che: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. La ripartizione dell’onere della prova è stata specificata poi anche dalla giurisprudenza. “Mentre il creditore deve provare il titolo costitutivo del rapporto e, se vi è un termine, che questo è scaduto, potendosi limitare ad allegare l’inadempimento, è il debitore a dover dimostrare di aver adempiuto ovvero che l’inadempimento non è a lui imputabile” (Cassazione civile, SS. UU., 30 ottobre 2001, n. 13533).
La signora che ci ha scritto, quindi, deve dimostrare di non essere lei la persona cui cartella è indirizzata. Pertanto, se ha già pagato o se si tratta di “un’omonima debitrice”, deve essere provato.
Annullamento o ricorso di una cartella di pagamento
La legge, però, ha previsto dei casi che ammettono l’annullamento, il ricorso o la sospensione di una cartella di pagamento. Il debitore, se ritiene infondato l’addebito, può quindi contestarlo all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha richiesto il pagamento chiedendone l’annullamento totale o parziale. Se l’ufficio riscontra l’illegittimità dell’atto, è tenuto ad annullarlo in base alle norme sull’autotutela e a effettuare lo sgravio delle somme iscritte a ruolo (cioè la cancellazione del debito).
L’Agenzia delle Entrate deve comunicare il provvedimento di annullamento all’Agente della riscossione, che interrompe le procedure di incasso del credito. Se il contribuente ha già pagato, ha diritto al rimborso della somma indebitamente corrisposta tramite lo stesso Agente della riscossione.
Se invece l’ufficio conferma l’addebito dopo aver valutato le contestazioni rappresentate dal contribuente, quest’ultimo può rivolgersi alla Commissione tributaria provinciale per chiederne l’annullamento. Quando una cartella di pagamento è stata dichiarata illegittima da una Commissione tributaria, il contribuente ha diritto a ottenere lo sgravio.
Assieme allo sgravio l’ufficio, entro 90 giorni dalla notifica della sentenza, deve disporre anche il rimborso delle somme eventualmente pagate dal contribuente prima della decisione. Il rimborso viene erogato presso l’Agente della riscossione.
Chi ha presentato ricorso contro una cartella di pagamento, se ritiene di poter subire gravi danni dal pagamento effettuato prima che la Commissione tributaria si pronunci, può produrre istanza di sospensione alla stessa Commissione (sospensione giudiziale) oppure, anche contemporaneamente, all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso il ruolo.
Come funziona la sospensione di una cartella di pagamento
La legge di stabilità per il 2013 (Legge 24 dicembre 2012, n. 228) ha introdotto la disposizione per cui l’Agente delle riscossione è obbligato a sospendere immediatamente ogni procedura esecutiva finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate, nel caso il debitore presenti una dichiarazione con la quale afferma l’esistenza di una causa di inesigibilità della pretesa.
Questa dichiarazione:
- va presentata, a pena di decadenza, entro sessanta dalla notifica del primo atto di riscossione utile o di un atto della procedura cautelare o esecutiva eventualmente intrapresa;
- deve essere motivata, ovvero documentare che gli atti contestati sono stati interessati da prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso).
La dichiarazione viene trasmessa dall’Agente della riscossione all’ente creditore che è tenuto a comunicare al debitore l’esito dell’esame della dichiarazione entro il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione; in mancanza di comunicazione entro tale termine le somme iscritte a ruolo – oggetto della dichiarazione – sono annullate di diritto. L’annullamento non opera in presenza di motivi diversi da quelli sopra, ovvero nei casi di sospensione giudiziale o amministrativa o di sentenza non definitiva di annullamento del credito.
Ferma restando la responsabilità penale, il contribuente che produce documentazione falsa è punito con la sanzione amministrativa che va dal 100 al 200 per cento delle somme dovute, con un importo minimo di 258 euro.
Come funziona la prescrizione dei debiti
Il soggetto che non sa come dimostrare di non essere il destinatario del debito contestato, può ricorrere alla prescrizione. Come stabilito dall’art. 2934 del codice civile: “Ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare (in questo caso l’Ente debitore, ndr) non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge”.
Ora, come previsto dalla disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: “Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato”.