La Federal Reserve sembra allontanare di settimana in settimana il prossimo rialzo dei tassi negli USA e ciò da novembre sta riportando i capitali sul mercato obbligazionario, con il Treasury a 10 anni ad essere passato da un rendimento del 3,25% al 2,67% odierno, avendo toccato a inizio anno un minimo del 2,55%. Qualcosa di simile sta accadendo nell’Eurozona, dove la BCE sembra meno propensa ad avviare la stretta monetaria proprio adesso che è in corso un drastico rallentamento economico nell’area, con Italia già in recessione e Germania quasi.
Bond emergenti in dollari? Tra Turchia e Argentina quali sono i sovrani più rischiosi?
E, però, guardando ai bond emergenti, si direbbe che qui accada qualcosa di esattamente opposto. Per caso, le leggi dell’economia e della finanza non varrebbero su questi mercati? Non proprio. Partiamo dai dati. La Russia oggi vede il suo bond sovrano a 2 anni attestarsi al 7,7% e quello a 10 anni all’8,46%. All’apice della loro crisi, i primi offrivano il 15,76% e i secondi il 14%. Eravamo nel dicembre del 2014 e il rublo, il cui tasso di cambio era stato appena lasciato libero di fluttuare sul mercato dalla Banca di Russia per adeguarsi alle mutate condizioni finanziarie per effetto del crollo del petrolio, registrava un vero e proprio tonfo contro le altre valute.
In Brasile, oggi i bond a 2 anni rendono il 7,2% e quelli a 10 anni il 9%. Ma alla fine del 2015, quando l’economia sudamericana era nella tempesta anche e, soprattutto, a causa della crisi politico-istituzionale che avrebbe travolto di lì a qualche mese la presidenza Rousseff, entrambi salivano al 16,50%.
Bond emergenti in recupero dopo la stretta sui tassi
In tutti i tre casi, i prezzi dei bond sono cresciuti, a volte di parecchio. Cosa ci sarebbe di strano? Che questo sia avvenuto dopo che le rispettive banche centrali hanno varato strette monetarie anche vigorose. La Russia portava i suoi tassi all’apice del 17% a fine 2014, mentre il Brasile li alzava fino a un massimo del 14,25% e la Turchia li tiene ancora al 24%, un livello triplicato rispetto a solo un anno fa. Vero è che nel frattempo i tassi russi siano scesi al 7,75% e quelli brasiliani al record minimo del 6,50%, ma il rally dei bond è iniziato già nella fase più restrittiva delle rispettive politiche monetarie. Come mai? Non abbiamo detto che i prezzi dei bond si muovano in direzione opposta ai tassi?
Vero, ma bisogna fare i conti con le aspettative del mercato. Queste economie emergenti hanno dovuto alzare i tassi repentinamente per reagire all’ascesa dell’inflazione. Nel caso della Russia, era stato il tonfo del petrolio ad alimentare la debolezza del cambio e a impattare sui prezzi domestici, mentre per Brasile e Turchia l’origine della crisi va ricercata nella sfiducia dei mercati verso la politica economica e monetaria dei due governi. Quando le banche centrali si sono decise a segnalare l’intenzione di contrastare con piglio più sicuro l’inflazione, gli investitori sono tornati gradualmente ad acquistare bond.
La Turchia rivede la luce dopo la tempesta finanziaria estiva
Qualcuno potrebbe chiedersi il perché un investitore straniero dovrebbe guardare ai tassi d’inflazione del mercato in cui acquista un bond, vivendo altrove. La risposta sta nel legame tra inflazione e cambio. Quando la prima sale, il secondo s’indebolisce, data la perdita di competitività della specifica economia. Qui, oltre tutto, sono stati proprio i cambi in caduta libera ad avere alimentato l’inflazione, per cui gli investitori stranieri erano fuggiti dai suddetti bond emergenti, scontando il ridotto valore in dollari, euro, sterline, etc., che questi avrebbero avuto all’atto del disinvestimento o alla scadenza. Il rialzo dei tassi ha avuto il merito, ai loro occhi, di ripristinare le condizioni minime per rafforzare i tassi di cambio da un lato e per stabilizzare i prezzi dall’altro. Da qui, il ritorno all’acquisto.
Bond emergenti e la scommessa con il rialzo dei tassi
In effetti, il rublo rispetto ai minimi toccati a inizio 2016 ha recuperato il 16% contro il dollaro, la lira turca ben il 18,5% in pochi mesi e il real brasiliano il 7%. In quest’ultimo caso, i guadagni ad oggi appaiono limitati, ma potenzialmente elevati, se si considera il grosso cambiamento politico avvenuto con l’elezione alla presidenza di Jair Bolsonaro, leader della destra “populista”, che se fino a un anno fa spaventava per le sue bordate anti-sistema, adesso galvanizza i mercati per il suo programma “business-friendly”. In termini reali, i tassi d’interesse fissati dalle banche centrali sono più che positivi in tutti e tre i mercati ed esattamente pari a: almeno 250 punti base in Russia e Brasile e circa 370 bp in Turchia. In effetti, la curva dei rendimenti turchi resta invertita, segno che il mercato sconti un’inflazione ancora alta nel medio-breve termine, per cui serve “raffreddare” ulteriormente le aspettative.
Tassi reali positivi e con un buon margine sui tassi d’inflazione vengono percepiti sui mercati come fondamentali per deflazionare le rispettive economie e rafforzare i cambi. E in previsione di ciò, gli investitori internazionali e domestici si tuffano nuovamente nei bond, facendone risalire i prezzi e ridurre i rendimenti. E l’effetto combinato tra quotazioni in aumento e apprezzamento delle valute locali in cui sono denominati i bond fa felici gli investitori esteri, che possono confidare anche in lauti guadagni in breve tempo, pur a fronte di rendimenti calanti. Dal canto loro, le banche centrali possono approfittarne per allentare la politica monetaria fino a quando il più basso livello dei tassi sarà compatibile con le aspettative di cambi almeno stabili, a beneficio delle economie locali, le quali potranno godere di un costo del denaro meno alto, di stimolo per consumi e investimenti. E anche la crescita del pil genera ottimismo sui bond, grazie alla maggiore solidità percepita per le finanze pubbliche.