C’era una volta un’Italia, in cui milioni di cittadini correvano puntualmente in banca a sottoscrivere i Buoni del Tesoro per impiegare i risparmi o magari metterli a frutto a favore di figli e nipoti. Era l’era dei “BoT people”, un’espressione ironica che ricalcava nell’assonanza quella ben più triste (“boat people”) con la quale si definivano i profughi in fuga via mare dal Vietnam in guerra negli anni Settanta. Fino a tutti gli anni Ottanta, le famiglie italiane detenevano la quasi totalità del debito pubblico domestico e concetti come “spread” erano semplicemente inesistenti.
Cosa c’entra il BTp Futura con la risalita dello spread
Già negli anni Novanta, la quota di possesso dei BTp tra le famiglie diminuiva. Tra le cause di questo trend, l’inflazione sempre più bassa, che riduceva i tassi dei titoli di stato e lo stesso bisogno dei risparmiatori di puntare al mercato del reddito fisso, ma anche una crescente cultura finanziaria nel Paese, che unitamente alla liberalizzazione dei capitali portò alla diversificazione degli investimenti. Gli italiani sono diventati negli anni, pur meno che altrove, un popolo di azionisti, obbligazionisti anche corporate, detentori di quote di fondi e acquirenti di polizze assicurative per proteggersi da vari rischi, tra cui la vecchiaia.
Ancora prima del “quantitative easing” di Mario Draghi del 2015, le famiglie detenevano direttamente circa il 15% dello stock di debito, percentuale scesa al 6,2%, secondo le stime di Mazziero Research. Parliamo di qualcosa come 150 miliardi, a fronte dei 2.410 miliardi di debito complessivo a fine 2019. Troppo poco per i governi che si sono succeduti negli ultimi anni e che hanno cercato di risvegliare l’appetito con il lancio di nuovi bond dedicati al retail. Nel 2012 fece la sua comparsa per la prima volta il BTp Italia, mentre a luglio sarà la volta del BTp Futura.
Più BTp nei bilanci familiari?
Sembrerebbe che il problema dell’Italia sia questo, ma evidentemente stiamo ignorando un dato basilare in questa analisi. Se le famiglie hanno ridotto di molto le esposizioni dirette, d’altra parte la loro quota è stata supplita del tutto da banche e investitori istituzionali, nazionali e non. Le sole banche italiane possedevano a fine aprile 419 miliardi di euro di BTp, ai massimi da almeno 20 anni e +22 miliardi in un solo mese. Ed esse hanno la possibilità di investire in titoli di stato nostrani grazie all’abbondante liquidità di cui dispongono, tra cui i 1.460 miliardi di risparmi depositati sui loro conti da famiglie e imprese, +54 nel trimestre febbraio-aprile.
Per non parlare del fatto che molti BTp sono detenuti dalle assicurazioni italiane per un importo persino superiore a quello delle banche, oltre che dai fondi d’investimento, che a loro volta li rastrellano sul mercato. Dunque, le famiglie italiane posseggono molto meno debito pubblico nazionale di un tempo, ma per il semplice fatto che hanno differenziato i prodotti d’investimento, esponendosi ai BTp in maniera indiretta e più intelligente, cioè riducendo il rischio di concentrazione del portafoglio. Se immaginassimo una corsa ai titoli di stato, magari trainati da questo nuovo BTp Futura, contestualmente assisteremmo a uno svuotamento dei conti bancari da un lato e a un crescente disinvestimento in azioni, fondi e assicurazioni, con la conseguenza che gli investitori istituzionali rimarrebbero con minori risorse da investire negli stessi BTp.
Ora, lo stato non persegue il solo obiettivo di redistribuire le detenzioni a favore dei risparmiatori domestici, ma di incrementare al netto gli impieghi nazionali.
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