Il “Financial Times” li ha definiti “Mafia Bond”, con un’espressione abbastanza impropria per le ragioni che vedremo. Ne risulterebbero stati emessi per 1 miliardo di euro in Italia e più che di obbligazioni legate ad attività criminali, si tratterebbe a dire il vero di cartolarizzazioni, cioè di crediti vantati verso la Pubblica Amministrazione da aziende sanitarie, tra le quali alcune nel Sud Italia, e ceduti agli investitori istituzionali. Questi titoli sono stati confezionati da Banca Generali e dietro la consulenza di Ernst & Young.
Le cartoralizzazioni sono il frutto di un’operazione di factoring, che consiste nel monetizzare crediti non immediatamente esigibili, cedendoli a terze parti, che li acquistano a sconto, cioè pagando al creditore originario un prezzo inferiore rispetto al valore nominale dei prestiti in oggetto. La differenza rappresenterà per il nuovo creditore il profitto, mentre per il creditore originario sarà il costo da sostenere per entrare in possesso della liquidità senza attendere le scadenze. Quando si ha a che fare con lo stato e, nel caso in esame, con le Asl, i tempi dei pagamenti possono risultare abbastanza lunghi, per cui operazioni come questa consentono alle imprese di incassare preziosa liquidità, cedendo un credito di fatto certo, visto che il debitore è la Pubblica Amministrazione.
Perché questo caso ha un qualcosa di sospetto o almeno conseguenze non marginali? Che un quotidiano finanziario internazionale sbraiti per una porzione così irrilevante di crediti risalente a una società sospettata di legami con la ‘ndrangheta fa sorgere il dubbio che dietro vi sia altro, ovvero il solito tentativo di screditare l’Italia in una fase molto delicata di trattative con i partner dell’Eurozona per il lancio del “Recovery Fund”, ma anche per ottenere quante più garanzie possibili sulla reale natura incondizionata dei prestiti erogati dal MES, il Fondo salva-stati europeo.
Il Recovery Fund è una recita che serve a tutti, Italia per prima
Rischi su MES e Recovery Fund
Questi ultimi riguardano le sole spese dei governi legate alla sanità per affrontare il post-emergenza Covid e per un ammontare massimo del 2% del pil. L’Italia potrebbe fare richiesta di 36 miliardi e il MES controllerebbe solo che queste somme vengano impiegate per finanziare voci di spesa “direttamente o indirettamente” legate alla sanità. Quanto ai costi, da mesi la polemica in Italia divampa sul fatto che sui prestiti pagheremmo interessi quasi nulli, mentre ricorrendo all’indebitamento tramite emissioni di BTp dovremmo sborsare percentuali molto più alte, anzi ormai le più alte dell’Eurozona.
Ma il caso Mafia Bond è lì a segnalarci che i pregiudizi degli stati nordici, spesso alimentati dalle nostre stesse cattive abitudini di spesa e dall’inefficienza nella gestione delle risorse pubbliche, rischiano di prendere il sopravvento. Di fatto, l’incondizionalità del MES è semplicemente il frutto della sospensione in via eccezionale delle regole ordinarie del gioco. Basterebbe, però, che dopo l’erogazione dei prestiti qualche stato membro del fondo alzasse la mano e chiedesse di ripristinare le condizioni usuali per rendere possibile un loro reinserimento. Nei fatti, finiremmo commissariati.
E vi dice niente il fatto che questi Mafia Bond siano il frutto di crediti legati alla sanità? Adesso, le opinioni pubbliche di stati come Olanda e Austria pretenderanno dai rispettivi governi che impongano la linea dura con l’Italia, altrimenti sussistendo il rischio che i loro denari finiscano in mano alla criminalità organizzata del Bel Paese. Sarà ancora più ardua la partita sullo stesso Recovery Fund, perché il caso rafforza mediaticamente la presa di posizione dei cosiddetti “Frugal Four” (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia) contro gli aiuti a fondo perduto, le emissioni di debito in comune per finanziare il fondo e la ripartizione di garanzie/costi.
Che fine ha fatto il Recovery Fund? Bloccato dagli “alleati” di Conte a Bruxelles