Giovedì scorso, il dato sull’inflazione americana a settembre ha generato allarme sul mercato obbligazionario. I rendimenti dei T-Bond sono schizzati sopra il 4% per la scadenza a 10 anni. In generale, sono saliti ai livelli massimi dal 2007, anno che precedette il crac di Lehman Brothers. L’indice dei prezzi al consumo è sì rallentato dall’8,3% di agosto, ma solamente all’8,2%. E l’indice “core” è salito al 6,6%, mai così alto da 40 anni a questa parte. Il T-bond a 5 anni a fine settimana stava in un range compreso tra 4,15% e 4,20%.
Anche perché le aspettative d’inflazione a 5 anni negli USA non stanno “surriscaldandosi”. Al contrario, sembrano scemare. Si aggirano nell’ordine del 2,30%. Questo significa che il T-bond a 5 anni offrirebbe qualcosa come l’1,85% reale all’anno. Scusate se è poco per un asset considerato bene rifugio per eccellenza sui mercati finanziari.
Ma attenzione alle facili conclusioni. I T-bond sono i titoli di stato americani, per cui sono denominati in dollari USA. Ed è il fattore cambio a poter infliggere perdite o ad accentuare i guadagni nel caso di un nostro ipotetico investimento. In effetti, se il cambio euro-dollaro risalisse nei prossimi mesi e anni, esiste il rischio che Zio Sam ci rimborsi un capitale svalutato rispetto a quello investito.
T-bond esposti al rischio cambio
Stando ai futures di CME Group, entro i prossimi cinque anni il cambio euro-dollaro salirà a ridosso di 1,05. Questo ci porta a mettere in conto perdite per poco meno del 7%. Su base annuale, siamo a qualcosa come l’1,40%. Sarebbe come affermare che il rendimento effettivo lordo offertoci oggi dal T-bond a 5 anni fosse non superiore al 2,80%. Già la prospettiva per noi cambia. Il 2,80% non sarebbe affatto poco, dato che il target d’inflazione fissato dalla BCE resta del 2%.
Dunque, acquistando T-bond e non BTp, rinunceremmo all’1% di rendimento all’anno, il 5% in un lustro. Certo, se il cambio euro-dollaro andasse nella direzione opposta, il T-bond si rivelerebbe probabilmente un investimento migliore dei BTp. Ma se, com’è probabile, risalisse nei prossimi anni più velocemente di quanto lascino intendere i contratti derivati, non sarebbe difficile accusare perdite tali da portare il rendimento effettivo sottozero.
Un altro aspetto da considerare è poi l’inversione della curva dei T-bond. La differenza negativa tra rendimenti a 10 anni e a 2 anni non era mai stata così alta da inizio anni Ottanta. Si aggira nelle ultime sedute in area -0,50%. Ciò suggerirebbe l’arrivo della recessione per l’economia americana. In teoria, uno scenario del genere spingerebbe la Federal Reserve a porre fine all’aumento dei tassi, per cui il dollaro si deprezzerebbe contro le altre valute mondiali. E se l’attuale cambio euro-dollaro sembra scontare già una recessione dell’Eurozona, il trend a medio termine sarebbe positivo per la moneta unica. In altre parole, i rendimenti dei T-bond sarebbero solo di facciata elevati per un investitore non americano.