La Reserve Bank of Australia (RBA) ha tagliato i tassi ieri, portandoli al nuovo minimo storico dello 0,50%. La decisione è arrivata per via dell’indebolimento dell’economia australiana, in crescita sin dal 1991, anno dell’ultima recessione. Ancora prima che esplodesse l’epidemia del Coronavirus, il continente australe segnalava qualche cedimento sul fronte del pil, tanto che qualche analista ha azzerato le previsioni per l’ultimo trimestre del 2019, in previsione dell’imminente pubblicazione dei dati ufficiali. Parte rilevante delle esportazioni australiane si ha verso la Cina, il cui stop alla produzione in ampie aree del paese sta riflettendosi in un rallentamento della congiuntura domestica.
Bond australiani a bomba con il Coronavirus, ma serve prudenza
La RBA potrebbe trovarsi costretta a tagliare i tassi ancora una volta. In passato, ha fatto presente che il tasso d’interesse minimo al di sotto del quale non intende scendere sarebbe dello 0,25% e che, nel caso ve ne fosse bisogno, continuerebbe ad allentare la politica monetaria acquistando assets, tra cui le obbligazioni di stato, cioè varando il “quantitative easing”. E questo avrebbe effetti dirompenti sul mercato sovrano, tanto che BlackRock ha sostenuto che i rendimenti australiani diverrebbero negativi nel caso in cui dovesse rafforzarsi il clima di panico globale da Coronavirus.
In effetti, l’Australia presenta tutte le caratteristiche per avere anch’essa una curva delle scadenze almeno parzialmente negativa. Si tratta di un’economia solida, di un emittente con rating “AAA” e considerato un porto sicuro per gli investitori di tutto il mondo. Vanta un rapporto debito/pil al 40%, estremamente basso per una grande economia avanzata. La stessa Germania ne ha uno in area 60%, per non parlare dell’oltre il 100% negli USA. Al momento, il rendimento sovrano a 10 anni offre lo 0,80%, quello a 2 anni lo 0,475%, in calo quest’anno rispettivamente di 57 e 45 punti base. La scadenza più longeva, quella dei 30 anni, ieri offriva appena l’1,43%.
Rally bond Australia non finito
E, però, se si considera che i Bund della Germania rendono negativamente lungo l’intera curva, si capisce come i margini di crescita per i prezzi dei bond australiani vi siano tutti. Certo, al fattore cambio va riposta la dovuta attenzione. Quest’anno, il dollaro locale o anche aussie ha già perso circa il 5,6% contro l’euro. Chi ha investito in titoli del debito emesso dal governo di Canberra, quindi, ha subito perdite potenziali in conto capitale. Non necessariamente, però. Prendete una scadenza sufficientemente lunga, come quella dei 10 anni, 21 maggio 2030 e cedola 2,50% (ISIN: AU0000013740) : ha guadagnato esattamente quel 5,6% necessario a neutralizzare l’indebolimento del cambio, arrivando a oltre 117.
Molto meglio ha fatto il trentennale, scadenza 21 marzo 2047 e cedola 3% (ISIN: AU000XCLWAS7), che da inizio 2020 si è apprezzato di circa l’11,5%, doppiando le perdite derivanti dal cambio ed esitando una plusvalenza effettiva di quasi il 6%. Chiaramente, sono i bond con durata residua più elevata a prestarsi favorevolmente, in quanto i rispettivi prezzi si mostrano più reattivi al calo dei rendimenti. Non è detto, però, che lo scenario più positivo si verifichi, specie se il premier Scott Morrison implementerà quella politica di espansione fiscale, che riterrebbe opportuna per sostenere l’economia, nei fatti rendendo meno impellente un ulteriore intervento della RBA. E tra previsioni macro più positive tra gli investitori e aumento delle emissioni sovrane, i prezzi potrebbero scendere o almeno arrestare il rally in corso. Le buone notizie, in quel caso, arriverebbero dal cambio.
I rendimenti dell’Australia fanno gola