Alla fine del 2021, è probabile che lo stock del debito pubblico italiano si sarà fermato al di sotto dei 2.732 miliardi di euro indicati dal governo nel NADEF. Al contrario, il PIL nominale dovrebbe essersi attestato vicino ai 1.790 miliardi, una decina in più delle previsioni ufficiali. In definitiva, il rapporto debito/PIL dovrebbe essere sceso a poco più del 152%. Resta altissimo, ma starebbe calando più velocemente di quanto ci aspettassimo fino a pochi mesi fa.
Per quest’anno, il governo stima una crescita economica del 4,7% e un’inflazione all’1,5%, apparentemente sottostimata, forse neppure di poco (era al 3,9% a dicembre).
Debito pubblico, variabili in gioco
Secondo il Patto di stabilità, il debito pubblico massimo a cui tendere sarebbe al 60% del PIL. Tuttavia, la riforma in discussione tra i governi dovrebbe innalzare tale soglia-limite al 100% o giù di lì. Per l’Italia sarebbe così impossibile centrare tale obiettivo nel lungo periodo? Per rispondere, dobbiamo fare i conti con tre variabili: deficit fiscale, crescita del PIL e inflazione. Il governo può tenere sotto controllo il primo con una politica di spesa accorta, sostenere la seconda grazie alle riforme economiche, mentre alla terza ci pensa la BCE. E in questi primi venti anni di euro, l’inflazione si è mantenuta bassa e stabile.
Per far sì che il debito pubblico in rapporto al PIL nominale scenda, è necessario che il bilancio dello stato si chiuda ogni anno quanto più in equilibrio possibile e che l’economia italiana cresca il più possibile. Un po’ d’inflazione allo scopo non guasta, anzi aiuta a tagliare il rapporto.
A sua volta, il deficit è frutto di due voci: saldo primario e spesa per interessi. Il primo, cioè la differenza tra entrate e spese (interessi sul debito esclusi), prima della pandemia era in attivo tra l’1,5% e il 2% del PIL. La seconda incide grosso modo per il 3,5% del PIL, ma tende a contrarsi di anno in anno sia in termini percentuali che in valore assoluto, grazie al fatto che il Tesoro riesce a rifinanziarsi sui mercati a costi molto più bassi di quelli sostenuti sul debito pubblico in scadenza. Nel 2021, ad esempio, il costo medio di emissione è sceso al minimo storico dello 0,1%.
Pareggio di bilancio non impossibile
Pur in rialzo, i rendimenti italiani restano nei pressi dei minimi di sempre. Anche supponendo che i costi medi di emissione salgano all’1% nei prossimi anni immediati, la spesa per interessi tendenzialmente continuerebbe a incidere sempre meno sul PIL. Auspicabilmente, essa potrebbe portarsi finanche sotto il 2%, stessa percentuale dei saldi primari pre-Covid, consentendoci di centrare il pareggio di bilancio. A quel punto, il PIL nominale continuerebbe a crescere senza che lo faccia anche il debito. Il rapporto inizierebbe una discesa piuttosto rapida.
Serve, però, rinvigorire la crescita economica dopo un ventennio a dir poco stagnante. Se i prestiti del Recovery Fund saranno impiegati a sostegno dell’economia italiana e i mercati torneranno ad avere fiducia nel nostro Paese, non sarebbe impossibile centrare l’obiettivo di una crescita annua del 2%.