Per la prima volta dalla fine degli anni Novanta, la Banca del Giappone potrebbe ritrovarsi costretta ad intervenire sul mercato forex per sostenere il tasso di cambio dello yen contro il dollaro. Questo è precipitato ai minimi dal 1998, attestandosi sopra a 140. All’inizio dell’anno, stava a 115. Da allora, ha perso circa il 18%. E’ un tracollo che accomuna la valuta nipponica ad altre come euro e sterlina inglese. La moneta unica scambia ai minimi dal 2002 e sotto la parità, mentre la valuta di Londra non era mai stata così debole sin dal lontano 1985.
La risposta si chiama Federal Reserve, la banca centrale degli States. Ha iniziato ad alzare i tassi d’interesse nel mese di marzo e a fine luglio li aveva già portati al 2,50%. Per battere l’alta inflazione, l’istituto prospetta rialzi dei tassi consistenti anche nei prossimi mesi. Probabile che a giorni li porti al 3,25%. Viceversa, il Giappone tiene ancora i tassi d’interesse a -0,10%. E’ l’unica grande banca centrale al mondo a non essere uscita dai tassi negativi e, soprattutto, a non avere prospettato alcuna stretta monetaria.
La divergenza monetaria tra FED e Banca del Giappone deriva dal fatto che, mentre a luglio l’inflazione americana si attestava all’8,5%, pur in discesa dal 9,1% di giugno, quella nipponica saliva al 2,6%. In altre parole, i prezzi al consumo a Tokyo continuano a crescere a livelli contenuti. Il paese del Sol Levante combatte contro la deflazione da un quarto di secolo, per cui non vede di cattivo occhio che l’inflazione sia salita “temporaneamente” sopra il target del 2%.
Tassi negativi colpiscono lo yen
Ancora oggi, la Banca del Giappone tiene il rendimento a 10 anni del bond sovrano limitato allo 0,25%, quando negli USA questo è tornato a salire in area 3,20%.
Non è tutto. Lo sapevate che alla fine del 2021 il sistema Giappone possedeva investimenti fuori dal paese per 1.249 trilioni di yen? Erano l’equivalente del 173% del PIL. Questi immensi capitali consentono al debito pubblico di godere di altissima credibilità sui mercati, nonostante si attesti al 260% del PIL, il livello più alto al mondo. Ebbene, con lo yen più debole il valore di questi investimenti sta aumentando in valuta locale. Significa che, se una banca o un fondo d’investimento rimpatria i propri capitali dall’estero, una volta che li avrà convertiti in yen, otterrà un guadagno grazie al fattore cambio. In ballo ci sono centinaia, se non migliaia di miliardi di dollari, ovvero diverse decine di punti di PIL di ricchezza finanziaria.
Lo yen debolissimo aiuta, poi, le aziende esportatrici, mentre penalizza i consumatori, con il rischio che il minore potere di acquisto azzoppi i consumi. Per il momento, la Banca del Giappone v’intravede maggiori benefici dei costi. E lo yen può continuare a indebolirsi finché il mercato non sconterà la fine della stretta sui tassi FED o l’avvio della stretta nipponica.