Il nuovo Ponte di Genova sarà gestito da Aspi, Autostrade per l’Italia, la società controllata dalla famiglia Benetton tramite la holding di famiglia Atlantia. Lo ha reso noto ieri con una lettera inviata al responsabile per la ricostruzione, Marco Bucci, il ministro dello Sviluppo economico, Paola De Micheli. Stupore e sconcerto sono i sostantivi che sono girati di più di bocca in bocca tra politici e addetti ai lavori. Almeno fino a quando non vi fosse la revoca delle concessioni autostradali, i Benetton rimarranno a capo del tratto autostradale da loro gestito e che include il capoluogo ligure.
Ponte Morandi e revoca concessioni Atlantia, una storia fin troppo italiana
Vanno in fumo le promesse del Movimento 5 Stelle non solo di sottrarre la gestione della nuova struttura alla famiglia di Ponzano Veneto, ma anche quella della rete autostradale di cui essa risulta concessionaria da decenni. I Benetton sono stati accusati duramente e sin dall’inizio dai grillini di essere i responsabili del crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018 e che provocò 43 vittime. I quattro fratelli furono fatti oggetto di invettive pubbliche anche sguaiate e inopinate, perché, al netto certamente delle responsabilità gestionali, non fu nemmeno consentito di portare avanti le ragioni addotte in loro difesa. Le concessioni autostradali andavano revocate per rispondere alla “sete di sangue” che si levava da una fetta imponente dell’opinione pubblica, la quale giustamente continua a reclamare giustizia.
Ancora una volta, i 5 Stelle hanno smentito sé stessi, perché a prevalere è la voglia disperata di restare aggrappati al potere a ogni costo, anche se questo volesse dire governare con una forza politica antitetica per valori e/o modus operandi. Del resto, parliamo di un partito che è stato capace in pochi giorni dal governare con la Lega ad allearsi con il PD, come se questi fossero formazioni interscambiabili quanto a programmi e idealità.
Ponte di Genova specchio delle contraddizioni grilline
L’unico tratto realmente distintivo dei 5 Stelle è l’avversione al mercato e alle leggi che lo regolano. L’assistenzialismo è rimasta l’unica stella polare di un movimento che continua ad ignorare giorno dopo giorno ogni realtà produttiva, sbriciolando risorse pubbliche tra una miriade di voci di spesa di dubbio stimolo per l’economia italiana, ma che vanno ad implementare quel programma di fuga dalla realtà, come nel caso degli incentivi ai monopattini, un modo naif di intendere la mobilità in una visione ambientalista sconnessa da esigenze pratiche.
Tornando a Genova, il ponte ricostruito racchiude in sé tutto quello che oggi rappresenta l’M5S. Il suo crollo è stato frutto di un’incuria, al netto delle eventuali responsabilità accertate in sede penale, che ha molto a che vedere con l’ostilità di frange minoritarie e rumorose a qualsiasi infrastruttura che riesca a modernizzare il nostro Paese. La sua ricostruzione è avvenuta in tempi record per l’Italia, grazie all’applicazione di leggi ad hoc, che nei fatti hanno sospeso quello stesso codice degli appalti fortemente difeso dai grillini per strizzare l’occhio al segmento dell’opinione pubblica che vive di retorica antimafia senza capire che la mafia prolifera laddove regnano incertezze, burocrazia e assenza di condizioni per lo sviluppo economico.
Quel ponte è stato caricato di tante bugie sin dal suo crollo. Fu promessa una revoca senza nemmeno accertarsi delle cause che portarono alla tragedia, scavalcando la giustizia pur strenuamente difesa dagli stessi grillini in tutte le altre occasioni.
Scandalo Alitalia, altri soldi pubblici e “ricatto” ai Benetton sul ponte Morandi
La cultura anti-mercato dell’M5S
Il principale partito in Parlamento risulta estraneo alla cultura liberal-democratica dell’Occidente, non accettandone i fondamentali, vale a dire lo stato di diritto e il rispetto degli interessi privati. La revoca delle concessioni viene pretesa senza seguire l’apposito iter, così come lo stralcio del contratto siglato con ArcelorMittal per la cessione degli stabilimenti ex Ilva, pur a fronte di un cambio in corso delle regole del gioco nel giro di poco tempo (vedi lo “scudo” penale). Un simile partito non solo non è adatto a governare uno degli stati del G7, ma ancora meno si dimostra di esserlo in tempi emergenziali come questi. Servirebbero visione e provvedimenti veloci ed efficaci per rilanciare l’economia dopo le devastazioni del Covid-19, mentre ci ritroviamo decreti rinviati di mese in mese e sottoscritti “salvo intese”, che rischiano di allontanare la ripresa, creando incertezza fiscale e giuridica per il breve termine.
Cosa dire di un governo che ha cercato fino a qualche mese fa di barattare la revoca delle concessioni con il salvataggio di Alitalia ad opera dei Benetton, i quali da “orchi cattivi” sarebbero stati ripuliti a imprenditori virtuosi con l’ingresso nella compagnia aerea decotta da anni? Questo è il modo di intendere i rapporti con l’economia, il mercato, i privati del Movimento 5 Stelle; qualcosa che ha il gusto del Venezuela “chavista”, non certo di una democrazia occidentale matura e liberale.
L’origine “chavista” del Movimento 5 Stelle e il rischio Venezuela per l’Italia