Anche ieri la Federal Reserve ha alzato i tassi d’interesse per la terza volta consecutiva e dello 0,75% a 1,50-1,75%. E non poteva essere altrimenti con un’inflazione americana esplosa all’8,6% a maggio, la più alta dal 1981. Le borse stanno ripiegando di brutto nelle ultime sedute, scontando il rischio di una recessione dell’economia globale a distanza di appena due anni da quella provocata dalla pandemia. Il rialzo dei tassi è una mossa obbligata per tutte le principali banche centrali, checché ne dicano illustri economisti intenti più a compiacere governi squattrinati che non a compiere ragionamenti razionali.
Il rialzo dei tassi serve tipicamente per rendere più conveniente il risparmio, a ovvio discapito dei consumi. Esso segnala al mercato, poi, la volontà della banca centrale di combattere l’inflazione, “raffreddandone” le aspettative. E negli USA, il “breakeven” a 5 anni si attesta ancora sopra il 3,10%, per cui il mercato starebbe scontando per il prossimo quinquennio un’inflazione media annua pari al 50-60% più alta del target della FED al 2%.
Recessione economica, ecco come
Ma la stretta monetaria ha effetti collaterali indesiderati, per quanto inevitabili e, in un certo senso, condizione necessaria per disinflazionare l’economia. Il rialzo dei tassi, dicevamo, tende ad accrescere i risparmi e a comprimere i consumi. Allo stesso tempo, disincentiva gli investimenti delle imprese. E per un’economia esportatrice come l’Eurozona, agisce negativamente anche innalzando il tasso di cambio, rendendo meno competitive le esportazioni.
Dunque, il rialzo dei tassi colpisce la domanda aggregata, persino pubblica.
Ed ecco che la recessione rischia di essere servita. Accadde anche agli inizi degli anni Ottanta, quando le amministrazioni Reagan e Thatcher rispettivamente negli USA e nel Regno Unito provocarono una crisi “pilotata” dell’economia per abbattere i tassi d’inflazione. Funzionò. Rispetto ad allora, però, le banche centrali si sono arrogate molti più compiti di quelli che erano stati loro assegnati dagli statuti. La lotta all’inflazione nell’Eurozona non è più percepita dai mercati quale unico mandato della BCE, bensì terzo in graduatoria dopo la difesa dell’economia e la stabilità finanziaria.
Errori di banche centrali e governi
Trovare un equilibrio tra stabilità dei prezzi, dell’economia e dei mercati finanziari appare difficilissimo in questa fase. Se le banche centrali riuscissero nell’intento, sarebbe forse più un caso fortuito. La peculiarità di questa stretta consiste nel fatto che sia stata avviata o stia per essere avviata proprio mentre i segnali dall’economia appaiono indeboliti. In genere, prima di arrivare a tanto i governatori hanno già alzato i tassi di qualche punto percentuale, per cui riescono a fermare la corsa dell’inflazione e a limitare i danni per l’economia. In questa occasione, dovranno scegliere chi salvare: l’economia o la stabilità dei prezzi.
La scelta è tutt’altro che agevole. In primis, perché rischiano di perdere definitivamente credibilità rispetto all’obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi. E una banca centrale non può permettersi di disancorare le aspettative del mercato.