La BCE sta per imbracciare nuovamente il fucile, caricandolo con le poche munizioni che le rimangono per centrare l’obiettivo di un’inflazione stabilmente di poco inferiore al 2%. Negli ultimi mesi, tra rallentamento economico dell’Eurozona e tensioni internazionali, le aspettative d’inflazione si sono “raffreddate” ai minimi storici, arrivando ad attestarsi nelle scorse settimane fino a poco sopra l’1% per il medio-lungo periodo. Un segnale scoraggiante per Francoforte, che solamente alla fine dello scorso anno aveva sospeso gli acquisti netti di assets con il “quantitative easing” e pensava che avrebbe iniziato ad alzare i tassi già attorno a questa fase.
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L’inflazione nell’area ha indietreggiato dal 2,3% toccato nell’ottobre scorso all’1,1% di luglio. Ma ad allarmare ancora di più la BCE è il fatto che tale percentuale risulti dalla media ponderata tra il tasso della Germania e quello nettamente più basso di altri paesi come l’Italia. L’inflazione tedesca del mese scorso si attestava all’1,7% (in ripresa per il secondo mese consecutivo), quella italiana allo 0,5% (in calo costante per il terzo mese di fila).
Dunque, quel pur non allarmante 1,1% medio diventa un segnale molto negativo, se si considera che capterebbe una tendenza deflattiva in certe aree dell’Eurozona. E paradossalmente è proprio l’inflazione in Germania a preoccupare, perché come rivela in un’intervista resa al quotidiano tedesco Handelsblatt dall’ex governatore della BCE, il francese Jean-Claude Trichet, essa funge da “limite superiore” per i tassi d’inflazione nel resto dell’area. Perché? La Germania è non solo la più grande economia europea, ma anche la più produttiva.
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Questo discorso implica per la BCE un ragionamento non dichiarato, vale a dire che meglio sarebbe per l’istituto se i prezzi tedeschi crescessero a un ritmo nettamente superiore all’obiettivo, pur senza destabilizzarsi, così che le altre economie dell’area possano sia allontanarsi dalla zona a rischio della deflazione strisciante e al contempo rendersi progressivamente più competitive con le imprese tedesche, esitando una crescita dell’Eurozona più diffusa ed equilibrata. Ma se i prezzi in Germania continuano a crescere tra l’1,5% e il 2%, gli altri stati devono comprimere i rispettivi salari, così da tenere i tassi d’inflazione a livelli ancora inferiori, magari intorno o sotto l’1%.
Sta avvenendo proprio questo in Italia e nel resto delle economie del sud. Ciò spiegherebbe come sia possibile che la BCE continui a iniettare liquidità sui mercati in tutti i modi e ottenga come risultato un buco nell’acqua. In effetti, Trichet ha invitato nella medesima intervista a “non lasciare sola la BCE”, come ad appellarsi al governo tedesco, affinché sproni l’inflazione domestica. Come? In teoria, aumentando la spesa pubblica (investimenti, stipendi pubblici) o tagliando le tasse, così da sostenere l’accelerazione salariale e, a cascata, la ripresa dei prezzi interni e nel tempo quella del resto dell’area. La Germania non ha intenzione di togliere le castagne dal fuoco agli altri e anche se sta scivolando velocemente verso la recessione, non sembra nelle condizioni di fornire risposte all’economia, paralizzata sul piano politico da una Grosse Koalition che si regge solo ed esclusivamente dall’inazione.
I tassi negativi in Germania provocheranno un terremoto politico ancora più forte